E Francesca non ha finito di stupire – di Giorgia Silvestri Faccia a faccia con la Porcellato, un esempio di forza e di coraggio, simbolo italiano

Per alcuni sportivi, prendere parte anche solo a un’edizione delle Olimpiadi è il massimo traguardo in carriera. C’è, però, chi sembra non accontentarsi mai. Come un’atleta di Valeggio sul Mincio (VR), che con Tokyo è arrivata addirittura alla sua undicesima partecipazione olimpica.
Francesca Porcellato nasce a Castelfranco Veneto (TV) il 5 settembre 1970. A un anno e mezzo è vittima di un grave incidente. Un camion la travolge mentre si trova nei pressi della sua abitazione.
Da quel momento, la mobilità dei suoi arti inferiori è gravemente compromessa. L’uso della carrozzina, però, non le impedisce di avvicinarsi allo sport. Inizia presto ad allenarsi nella corsa.
Il suo debutto paralimpico avviene a Seul, nel 1988. Nel corso degli anni, Francesca si dimostra una sportiva estremamente eclettica. Prima corre come velocista e maratoneta. Successivamente, si cimenta nello sci di fondo e nell’handbike.
Lungo la sua carriera, l’atleta prende parte a 6 Paralimpiadi estive e 4 invernali. Manifestazioni in cui centra diversi podi e vittorie in entrambe le tipologie. A Tokyo 2020 si aggiudica la sua più recente medaglia, un argento nella gara a cronometro della handbike (categoria H1-3).
Buongiorno Francesca. Domanda di rito: ci parli dell’esperienza di Tokyo?
“Innanzitutto, è stata un’Olimpiade strana. (A noi del paraciclismo) non hanno fatto fare la cerimonia d’apertura e di chiusura. Dunque, abbiamo fatto fatica un po’ a entrare nella mentalità olimpica, non vivendola. (Inoltre, noi paraciclisti) vivevamo a 3 ore di pullman dal villaggio”.
“(Quando ho vinto la medaglia) le emozioni sono state grandissime e lì ho iniziato a percepire lo spirito olimpico. Ho visto il podio, gli inni, le bandiere salire. Poi, gli ultimi due giorni ci hanno portato al villaggio olimpico e lì proprio sono piombata nello spirito, vedendo le altre nazionali, la mensa, gli altri atleti di altre discipline. Che dire, un’Olimpiade strana, ma andata bene”.
Hai conquistato le tue prime medaglie paralimpiche a Seul. Come cambiano negli anni le sensazioni quando si vince?
“Allora, sicuramente ogni medaglia ha un sapore differente. Le ami tutte perché sono tutte figlie di grande sacrificio, d’impegno, di tanto allenamento. Sono tutte sognate, desiderate. Sicuramente ognuna ha una sua storia. A Seul, ricordo che c’era un po’ d’incoscienza. Avevo appena compiuto 18 anni e mi sembrava tutto molto grande. Non mi rendevo neanche conto di cosa avevo fatto. Avevo la felicità di aver conquistato questa medaglia ma non sapevo cosa comportava. Mentre adesso so esattamente il suo valore”.
Tokyo è stata la tua undicesima Paralimpiade. Cosa ti spinge a continuare?
“Io sono molto appassionata e mi diverte molto fare quello che faccio. Mi piace quando mi alleno. Mi piace gareggiare. E questo piacere è poi il motore per continuare a farlo. È la passione per lo sport”.

Come sono cambiate nel corso degli anni le manifestazioni come Mondiali e Olimpiadi, soprattutto a livello di “parasport”?
“Sicuramente abbiamo fatto passi da gigante. Le cose sono molto più organizzate, molto più strutturate, molto più professionali. Sicuramente abbiamo molto più seguito anche dai mass media. Abbiamo, come si dice, più consapevolezza di quello che andiamo a fare, sia noi che chi ci vede. Per esempio, a Seul eravamo poco conosciuti. Sembrava che lo sport paralimpico fosse un mezzo per passare il tempo. Invece adesso hanno scoperto che lo sport paralimpico è uno sport a tutti gli effetti”.
Cosa ti fa amare una gara così pesante come la maratona?
“La carrozzina da corsa è quella che ha la posizione più scomoda. Facevo una gara molto lunga che era la maratona che veramente ti toglieva il fiato. A metà (gara) mi chiedevo sempre ‘chi me l’ha fatto fare?’. Però, ero talmente felice quando arrivavo in fondo che mi ricordo solo questa grande sensazione di essere felice di aver tagliato il traguardo”.
Una nuova disciplina che vorresti provare?
“Guarda le mie discipline sono arrivate tutte a caso. No non potrei scegliere. Ma forse, penso che a questa età è meglio che metta la testa a posto”.
Ti stavo per chiedere quali erano i prossimi obiettivi sportivi ma …
“No, al momento non ne ho. Mi trovi molto soddisfatta e appagata”.
Cosa diresti a una persona che vuole avvicinarsi al “parasport”, e dell’importanza di quest’ultimo?
“Direi di provare, di cercare una disciplina che più dà soddisfazioni, piace e si addice alle proprie caratteristiche. Comunque, (direi) di tentare perché le soddisfazioni che si possono raccogliere sul campo sono notevoli. Ma soprattutto anche gli insegnamenti. Nel senso che qua cadono i limiti, qua cadono le barriere, qua l’essere umano viene confermato per quello che è, per tutto il valore interno che ha”.