E Lincoln disse: “Stop alla schiavitù” Solo nel 1865 gli Stati Uniti dichiarano la fine di uno dei periodi più oscuri della loro storia

«Le punizioni per gli schiavi insubordinati erano sempre fisiche: bruciature a fuoco coi marchiatori per i vitelli, mutilazioni,impiccagione. Molto spesso non vi era nemmeno una causa. Molti schiavi avevano paura a ribellarsi. Ma il padrone bianco doveva dimostrare in ogni momento la sua posizione dominante, e
riconfermarla».
Il 31 Gennaio del 1865, grazie al XIII emendamento della Costituzione che vietava la schiavitù di persone in qualsiasi sua forma e a livello federale, decine di migliaia di schiavi africani vennero legalmente liberati dalle piantagioni in cui erano tenuti come schiavi.
Ma prima di quella data, per oltre un secolo e mezzo si conta che quasi 21 milioni di neri vennero messi in schiavitù dall’uomo bianco. Uomini e donne africani, rapiti con la forza dal loro paese e caricati su navi con destinazione i grandi porti europei, dove venivano smerciati come qualsiasi altro bene materiale, per finire
poi su altre navi che li avrebbero portati in America, a lavorare gratis negli immensi campi di cotone,
tabacco e caffè.
Se è chiaro a tutti come la schiavitù dei neri in America si sia svolta e poi, fortunatamente, conclusa, meno conosciuto è il modo assolutamente fortuito in cui sia cominciata.
Nel 1916, una nave corsara chiamata White Lion e battente bandiera inglese, dopo essere stata a
contrabbandare risorse non chiare in Angola, tornò dall’Africa con un bottino non previsto: 33 “negroes”, 33 uomini neri. Presi con la forza e rapiti, gli uomini vennero caricati sulla nave e portati in Virginia. Una volta lì, qualcuno pensò di venderli. Per farci cosa? Forza lavoro gratis. Erano giovani, prestanti, con dentature ottime e muscoli forti; e i campi da arare con estrema costanza troppo grandi.
La Virginia si guadagnò così il triste primato di essere il primo stato americano a dar vita alla schiavitù nera.
Nel 1787, la Costituzione americana prevedeva di fatto la schiavitù, considerando gli schiavi come persone geneticamente predisposte alla sottomissione.
Verso i primi anni del 1800 però, il flusso di schiavi dall’Africa raggiunse numeri impressionanti, tanto che la maggior parte degli stati decise di interromperlo. Moltissimi proprietari delle piantagioni del sud misero in atto politiche finalizzate ad incentivare l’accoppiamento tra schiavi, che come risultato generava altra forza lavoro: i loro figli. Questo causò un’esplosione demografica, tanto da contare nel 1815 circa 4 milioni di schiavi. Intere famiglie di schiavi vivevano nelle piantagioni, dando così vita ad una vera e propria sottocultura parallela afroamericana.
A nascere però non erano solo figli di neri. Con l’introduzione del principio Patrus Sequitur Ventrem, a prescindere da chi fosse il padre, i figli che nascevano da madre schiava acquisivano in automatico il suo stesso status. Il padre dunque non era determinante. Questo incentivò gli stupri da parte dei padroni, che potevano così soddisfare due bisogni, quello fisico e quello economico.
Dopo un lungo periodo di oscurantismo, di rivolte mai del tutto compiute, si arrivò alla fine del tunnel. Ma solo, nel 1865, grazie ad Abramo Lincoln, venne emanato il Proclama di emancipazione dei neri, un documento che sanciva l’abolizione della schiavitù in tutta l’Unione Americana.

Vanessa Righetti