“Il potere del cane”, quanti…sbadigli Non entusiasma certo lapellicola di Jane Campion, dalla quale è lecito attendersi di più

In concorso alla 78ª Mostra del Cinema di Venezia, su Netflix dal 1 dicembre, Il potere del cane segna il ritorno in sala della pluripremiata Jane Campion a 12 anni da Bright Star. Scritto e diretto dall’autrice neozelandese, il film adatta l’omonimo romanzo western di Thomas Savage, una storia tutta al – e sul – maschile ambientata nel ruvido Montana del 1925.

UNA GRANDE FAMIGLIA. Un ranch, la campagna, le terre, i due fratelli Burbank a capo della baracca. George e Phil incarnano due poli opposti della mascolinità: il primo più posato, ingenuo ed empatico; l’altro acculturato, scontroso e provocatorio, innamorato della sua virilità e sempre pronto a sporcarsi le mani. Durante un viaggio d’affari fanno tappa nella locanda della giovane vedova Rose e dall’efebico figlio Peter; mentre Phil si accanisce contro i due ironizzando sulla loro condizione, George sta segretamente covando un sentimento verso la donna. Di lì a poco i due si sposeranno, e quando Rose e Peter si trasferiranno nel ranch i già precari equilibri della relazione tra i due fratelli andranno in frantumi.

VERITA’ NASCOSTE.
Suddiviso in quattro capitoli, il film di Jane Campion si veste dei panni tipici del western per raccontare in realtà una vera e propria storia di formazione e costruzione esistenziale: il duro, il tenero, la donna maltrattata e il ragazzo problematico sono i tipi eletti a protagonisti del dramma. Di loro ci vengono mostrate asperità, fragilità e pregi attraverso un racconto lenta e ritmata, capace di plasmare la dinamica narrativa con una tecnica che privilegia l’attesa, la suspense e la rivelazione di verità rimaste seppellite nell’inconscio di ciascuno. A darci indizio di ciò sono i gesti, gli sguardi e l’indugiare della camera – come della sceneggiatura – su alcuni particolari dettagli, svelatori di quanto fallace sia ciò che sta in superficie e di quanto problematico sia, invece, il mondo che sta sotto e al di là delle apparenze.

PROVACI ANCORA JANE. Ma per quanto intrigante questo incastro di scoperte in stile matrioska possa essere, nella sua seconda metà il racconto manca di verve e i personaggi soffrono di uno scioglimento del loro dramma piuttosto superficiale. La storia finisce insomma per perdere di interesse agli occhi di uno spettatore che si domanda se tutta l’attesa creata per un colpo di scena rivelatore si sia davvero risolta in una ventata di fumo che, alla fine dei giochi, ci lascia mezzi ciechi e pure infastiditi per l’assenza di concretezza.
A dare sostanza ci pensano gli ottimi interpreti, che forti della loro profondità espressiva sostengono la credibilità di personaggi non sempre riuscitissimi, a partire da un Benedict Cumberbatch in una delle interpretazioni più riuscite della sua carriera, per arrivare a Kristen Dunst, perfetta nel ruolo della donna che nella disperazione si guadagna una legittimità in quanto giovane moglie e madre. Già qualcosa, ma non abbastanza per una delle autrici più celebrate dal panorama cinematografico internazionale e dalla quale, onestamente, ci aspetteremmo di meglio.

VOTO:5

di Maria Letizia Cilea