Due anni dopo, un flop annunciato Il “cavallo di battaglia” del M5S mostra oggi tutti i suoi limiti: così non funziona

Sin dal suo avvio nell’aprile 2019, il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5S, è stato accompagnato da forti polemiche. A oltre due anni dall’avvio, mostra tutti i suoi limiti dovuti alla sua natura “ibrida” che coniuga lotta alla povertà e politiche attive del lavoro; nel governo si è aperta la riflessione su una riorganizzazione, con lo scopo di trasformarsi in un’occasione per formarsi e ricollocarsi e non solo per ricevere un sussidio.
«Se il sostegno si è rivelato efficace per contrastare la povertà, dall’altro non ha favorito l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Raccontare che si sarebbero aiutate le persone a trovare lavoro tramite il reddito di cittadinanza è stato un errore»: queste le parole del Ministro Orlando.
I numeri della Corte dei Conti parlano chiaro: a fronte di 1,6 milioni di soggetti convocati, poco più di 1,05 milioni sono tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro. I presi in carico sono 327.555, dunque meno di un terzo della platea; al 10 febbraio 2021, ultimo dato ufficiale disponibile, in 152.673 hanno instaurato un rapporto di lavoro dopo la presentazione della domanda, il 15,19% degli occupabili. Nessuno studio è stato in grado di accertare se sia stato determinante per trovare il posto di lavoro l’intervento del centro per l’impiego, o se il percettore del Rdc si sia rivolto ad altri canali.
Nel tempo il numero dei beneficiari è lievitato: a maggio 2021 si contavano 1,1 milione di nuclei (+16% su maggio 2020) per 2,8 milioni di persone, con una media di 583 euro di importo.
Come noto, la nascita del Rdc ha portato con se la creazione della nuova figura professionale del “navigator”: nell’estate del 2019 ne sono stati assunti 2.978 da Anpal servizi (retribuzione lorda di circa 30mila euro annui) con contratto scaduto lo scorso aprile e prorogato alla fine dell’anno. Ne sono rimasti 2.549 (140 in Veneto e più di 400 in Campania e Sicilia): molti si stanno candidando agli 11.600 posti a tempo indeterminato banditi dalle regioni negli stessi centri per l’impiego dove operano da precari. Sono giovani (età media 35 anni, in prevalenza donne), in possesso di laurea (prevale giurisprudenza) e sarebbero di sicuro interesse per una PA che deve ringiovanirsi.
Di certo c’è che il sistema informativo unitario di Anpal non è mai realmente decollato, l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro per cittadini, aziende e operatori con il portale MyAnpal fa registrare solo 22mila rapporti di lavoro avviati dal 1° gennaio 2020. Solo in 430 hanno usato l’assegno di ricollocazione, lo strumento principe di politica attiva dedicato ai percettori di Rdc.

Marco Vantini