13 novembre 2017, si fa buio. E’ la notte più nera dell’Italia 0-0, ai Mondiali va la Svezia DENTRO LA STORIA: gli eventi che hanno segnato un'epoca

Niente grigliate estive, niente pizza e birra, niente notti magiche quell’estate di due anni fa. Dopo sessant’anni si restava a casa; ai mondiali in Russia ci sarebbero andati gli altri, a noi la parte di unica nazionale pluridecorata ad accomodarsi sul divano. Non accadeva dal 1958, Memories cantava Barbara Streisand in Com’Eravamo. Eravamo quelli che insegnavano al mondo come i gol non si prendono e come si fanno. Eravamo quelli dei grandi liberi, dei grandi stopper, delle ali destre, dei grandi numeri 10 e dei grandi centravanti. Memories. Fino a quel maledetto Italia-Svezia del 13 novembre 2017, finito un ciclo eravamo sempre riusciti a farne nascere un altro. Siam sempre stati sulla cresta dell’onda, ma quella sera l’onda finì per inghiottirsi noi. E fu uno tsunami. La notte di Berlino del 2006, la nostra Eboli. Ci eravamo fermati lì. Come Cristo. Fu il mesto addio di Gigi Buffon alla maglia azzurra, lui che a Berlino fu tra gli eroi: «Dispiace non per me ma per il movimento calcistico, perché abbiamo fallito. Dispiace che l’ultima partita ufficiale sia coincisa con una mancata qualificazione mondiale. L’unico obiettivo per me era cercare di non fare piangere quei bimbi che sognano di arrivare in nazionale, come rimasi io deluso sul palo di Rizzitelli nel ’92 con la Russia. Invece non ci siamo riusciti, e chiedo scusa» disse in lacrime alla fine della notte più buia del nostro calcio.
Espressione di un malessere che veniva da lontano: i campionati d’Europa in Polonia e Francia avevano solo mascherato in qualche modo la crisi, che si era manifestata nuda e cruda prima ai mondiali sudafricani, quando fummo fatti fuori dalla Slovacchia dopo aver pareggiato con la Nuova Zelanda, e poi in Brasile, dove a spennarci fu nientedimeno che il Costarica. Il 13 novembre del 2017 finimmo nel baratro contro la modestissima Svezia, gente onesta, muscolosa manovalanza, ma nulla più. Pagò Giampiero Ventura, additato come il maggior responsabile della sciagura, che nel capoccione non aveva mai avuto un progetto tecnico chiaro su cui lavorare, ma solo tanta incoerente confusione. Finì per inabissarsi. La secca sconfitta al Bernabeu al cospetto della Spagna era stata uno scempio: affrontò colpevolmente la partita decisiva contro un avversario nettamente più forte con supponenza, superficialità e sconcertante approssimazione. Uscita con le ossa rotte, la squadra non si ritrovò più, perse ogni fiducia nella guida tecnica, e allo spareggio contro la Svezia si sciolse come neve al sole di aprile. Sembrò di rivivere i giorni dell’Azzurro Tenebra di Giovanni Arpino all’indomani del disastro di Stoccarda del 1974. Allora risalimmo faticosamente la china con un gruppo di giovani emergenti che otto anni dopo ci avrebbero regalato la gioia più bella a Madrid. Cosa che stiamo cercando di fare anche oggi. «Puoi imparare una riga dalla vittoria e un libro dalla sconfitta» disse Paul Eugene Brown, uno dei più grandi allenatori della storia del football americano. Non sappiamo dove possa arrivare il nuovo corso di Roberto Mancini, presto per dire, ma da quella colossale bocciatura siamo ripartiti. Anche perché nessuno ha più voglia di rivivere altre Slovacchie, altri Costarica e altre Svezie sulle malinconiche note di Memories.
Elle Effe