15 ottobre ’67, la tragedia di Gigi Meroni, il nostro Best Il calcio italiano è in lacrime DENTRO LA STORIA: GLI EVENTI che hanno segnato un'epoca

Sono trascorsi 53 lunghi anni da quel lontano 15 ottobre 1967, data in cui morì, a causa di un incidente stradale, Gigii Meroni, formidabile ala destra del Torino e della nazionale italiana. “Gigi”, così era stato ribattezzato dagli addetti ai lavori, ha lasciato un ricordo indelebile a tutti gli amanti del calcio, non solo per le sue straordinarie qualità tecniche, la sua fantasia e il suo estro sul terreno di gioco, ma anche per essere stato un ragazzo fuori dall’ordinario, un anarchico, un vero e proprio artista anche al di fuori del manto erboso.
Meroni esordì all’età di soli diciassette anni nel Como, in Serie B, dove iniziò a mettere in mostra tutto il suo potenziale, suscitando l’interesse di alcune importanti società italiane. In molti rimasero stupiti dai suoi allunghi in velocità, dalla sua estrema facilità di dribblare l’avversario e dalla sua imprevedibilità, ma fu il Genoa ad acquistare il cartellino del George Best italiano.
È doveroso aprire una parentesi sul Luigi Meroni artista: sì perché ancor prima delle sue pennellate su quella corsia destra del campo da calcio, Gigi si dilettava dipingendo, sfornando dei veri e propri capolavori, tra cui la modellazione, la progettazione e la scelta della stoffa degli abiti che poi avrebbe indossato. Insomma, siamo innanzi ad un ragazzo che all’età di vent’anni, quindi in un’Italia ancora “arretrata” sotto molteplici punti di vista, ha portato una ventata di cambiamento: erano gli anni dei Beatles e, mentre in Inghilterra la figura di George Best stava sempre più spopolando, Meroni venne soprannominato il “Beatle italiano”, a causa della sua acconciatura (il baffetto, il capello lungo e la barba). A Genova trovò la definitiva consacrazione e si impose nel palcoscenico italiano alla sola età di 19 anni, trascinando la compagine ligure all’ottavo posto in classifica e alla conquista della Coppa delle Alpi.
Nei due anni genoani Meroni migliorò molto e iniziò a rendersi conto che tutti gli sforzi fatti, sin dalle prime partitelle al campo dell’Oratorio San Bartolomeo di Como, iniziarono a ripagare. A tal proposito nel 1964 il Torino del Presidente Orfeo Pianelli mise sul piatto 300 milioni di lire, una cifra monstre per un ventunenne a quel tempo, per aggiudicarsi le prestazioni sportive del numero 7. Nonostante la mobilitazione della tifoseria genoana per evitare la cessone, Gigi passò al club granata e approdò alla corte di Nereo Rocco dove in tre anni riuscì a realizzare 22 gol in 103 presenze.
Numeri importanti che non sfuggirono agli occhi della Juventus del presidente Gianni Agnelli, il quale avrebbe voluto acquistare Meroni sin dai tempi di Genoa, ma non riuscì a sferrare un’offensiva per mancanza di fondi. A tal proposito, dopo solamente una stagione in maglia granata, Agnelli tornò alla carica e il Presidente Pianelli era sul punto di cedere, come da lui stesso dichiarato nel suo libro “Il mio Torino”: “per noi l’affare era importante.
La cifra era notevole, 750 milioni”.
Meroni però, aveva fatto breccia nei cuori del pubblico granata che, non appena si rese conto della volontà del Presidente, minacciò una sommossa facendogli cambiare idea.

Pianelli non amava i calciatori con i capelli lunghi, la barba e i vestiti stravaganti, ma a Meroni permetteva tutto e questo fa capire il legame profondo creatosi tra i due: Gigi era il beniamino del presidente e difficilmente si sarebbe privato del suo numero 7.
Una tappa importante, che ancor meglio ci fa capire l’impatto che ebbero le scelte di Gigi sulla società italiana del tempo, fu la sua relazione amorosa con Cristiana Uderstadt, ragazza polacca che gestiva un tiro a segno con la mamma, la quale ostacolò l’innamoramento dei due ragazzi, riuscendo a dare in sposa la figlia ad un noto regista.
Cristiana rappresentò per svariati motivi il motore che incentivò Gigi nel suo percorso calcistico, a tal punto che, quando avvenne il trasferimento al Torino, lei decise di andare a convivere con lui in una mansarda torinese, trascinandosi dietro l’odio feroce della Chiesa che definì Meroni “un pubblico peccatore”.
Questa relazione inasprì ancor di più l’opinione pubblica del tempo che si scisse in due fazioni differenti: da una parte i conservatori e dall’altra il mondo laico, i progressisti.
È vero, erano altri tempi, ma è evidente che Luigi Meroni sia stato un fenomeno totale che ha fatto parlare di sé per le sue molteplici sfaccettature, pur essendo un uomo pacato, gentile e non un bad boy alla ricerca di notorietà. Proprio la sua non intenzionalità nel finire sotto i riflettori è il particolare che rende Gigi un vero e proprio artista influente, un trascinatore stravagante che in pochissimi anni di carriera lasciò una cicatrice sul cuore di molti sportivi, diventando un anticipatore della rivoluzione culturale e sociale, persino in un mondo “bigotto” come il calcio.

Diego De Angelis