1917: due uomini e un’unica missione Il film di Sam Mendes che racconta gli episodi della logorante guerra di posizione

Blake e Schofield sono caporali dell’esercito inglese in Francia. Vengono avvertiti di una terribile trappola pianificata dall’esercito tedesco ai danni del secondo battaglione Devons. Le linee telegrafiche sono state tagliate e non c’è modo di comunicare: ai due soldati spetterà il compito di attraversare la Terra di Nessuno in una sola notte per raggiungere il battaglione e avvertirlo dell’inganno in tempo.
Due uomini, una missione, una distanza da percorrere nel più breve tempo possibile. È davvero così semplice l’idea dietro il film di Sam Mendes, che con 1917 lavora per sottrazione sulla scrittura, mentre fa della materialità degli spazi l’elemento dominante. Siamo nel pieno della logorante guerra di posizione che ha visto tedeschi e inglesi attendersi, osservarsi e fronteggiarsi per conquistare pochi chilometri alla volta, nella speranza di vedere l’alba del giorno successivo. Come sempre in guerra la causa viene dunque prima dell’uomo, così Sam Mendes decide di attribuire dei ruoli-cameo ad attori come Colin Firth, Mark Strong e Andrew Scott, qui ufficiali che si limitano a farsi da passaparola, e che nell’interazione con i due protagonisti (molto meno celebri, seppur bravi, George MacKay e Dean-Charles Chapman), si costituiscono come vero “corpo” della missione più che come entità individuali. Ciascuno di loro ha un compito, ed è a partire dalla loro volontà di sacrificarsi alla causa che gli equilibri dell’intero macchinario bellico avanzano, mentre i due protagonisti si muovono a stento su terreni fangosi e labirinti sotterranei. Il film offre un efficace sguardo collettivo sulla devastante esperienza della guerra, sacrificando la componente privata e privilegiando quella spettacolare della scena bellica. Notevole è quindi il lavoro fatto sulla costruzione delle inquadrature e sull’equilibrio degli spazi, che ci regalano alcune tra le più suggestive immagini di desolazione post-bellica mai viste al cinema. Al di là dell’aspetto estetico, forte resta la volontà autoriale del film: la vicinanza della camera alle spalle e ai volti rivela infatti il desiderio di trasmettere la componente più materica ed esperienziale della paura, ancora prima di esprimerla in parole o manifestarla in atti; la fedeltà alla nazione e l’adesione alla causa sono totali, ma sono le contingenze a interrogare gli uomini in prima persona: archiviato l’annoso archetipo dell’eroe di guerra, in 1917 si decide dunque di dare più spazio a quel piccolo margine di scelta nel quale il soggetto si muove, e che può fare la differenza tra vita e morte. Le scelte di compassione e gentilezza, persino quelle di fiducia degli atti compiuti davanti a un fato inconoscibile, tali i gesti di questi piccoli personaggi, che facendosi trascinare dagli eventi guidano il corso del conflitto verso una ben precisa direzione: quella di chi sa che nel sacrificio per il proprio popolo c’è pur sempre una ragione intima e privata, una chiamata d’amore che dalla propria patria e per bocca dei propri cari arriva oltremanica, e spinge l’uomo a lottare per ritrovare, salvandola, la via di casa.

Maria Letizia Cilea