Mont Ventoux, cima assassina Mentre al Tour l'Italia sogna con Ciccone, gli appassionati di ciclismo ricordano la tragica fine dell'inglese Simpson, 52 anni fa. Fu la prima vittima per doping, su una montagna che ha fatto storia: era il 13 luglio del '67

All’improvviso cominciò a sbandare. Andava a zig zag, Tommy Simpson. Un campione. Aveva già vinto in carriera Milano- Sanremo, Giro di Lombardia, campionato del mondo. Era uno dei grandi favoriti del Tour. E quel giorno, la Grande Boucle saliva una delle vette più temute, il Mont Ventoux. Tommy Simpson era un po’ lontano dai primi, gli serviva l’impresa, per rientrare in classifica. Era partito per vincere, ma qualcosa non aveva funzionato. Il ciclismo non ammette debolezze, il Tour meno ancora. La Francia è un forno, il Ventoux una salita terribile. Un paesaggio lunare. Chilometri e chilometri senza un’ombra. Non c’è vegetazione. Un tormento lungo 21 chilometri, pendenza media del 7,5%, con punte massime del 15%. Può essere la strada per la gloria. Può diventare un calvario. Tommy Simpson va alla partenza, a Marsiglia, con l’idea di “scatenare” un inferno. Il giorno prima, aveva avuto una forte
discussione col suo manager. Lo dirà, qualche anno dopo, il
suo compagno di stanza, il gregario fidato, Colin Lewis. “Se non fai qualcosa di speciale, hai già perso il Tour” gli
urla il suo manager. “E salta anche il tuo passaggio alla
Ignis”. La Ignis è squadra italiana, fortissima. Aveva visto
in Simpson anche uno straordinario veicolo per sfondare in Gran Bretagna. E anche la Salvarani di Gimondi, puntava su di lui. Tommy Simpson va alla partenza, guascone come sempre. Scherza con compagni e avversari, sente di poter dare una “spallata”
alla classifica, dov’era settimo, ma ancora in lizza. Sa, il
baronetto inglese (titolo conquistato dopo la vittoria nella
Milano-Sanremo del ’64) di avere carte “speciali”, da giocare. Nella tasca della sua maglia, purtroppo, saranno ritrovati tre tubetti di anfetamine. “Le aveva acquistate da alcuni sconosciuti italiani” confesserà sempre Colin Lewis, interrogato dalla Polizia dopo la tragedia. Simpson è disposto a tutto, il Tour è il suo lasciapassare per la leggenda, il pass per affiancare i più grandi della storia. Ma prima, c’è il Ventoux. Il Monte Calvo, secondo una delle etichette coniate. Oppure, la montagna
del male, secondo vecchie leggende. Un antico proverbio di Provenza, è ricordato ancora oggi: “Non è necessario essere pazzi per salire sul Ventoux, ma bisogna essere pazzi per tornarci”. La carovana gialla va. E arriva il momento del Ventoux. Scatta
Jimenez, scalatore spagnolo. Poi Poulidor, Gimondi, l’altro
italiano Balmamion, l’olandese Janssen, infine Simpson. Già in difficoltà, dopo pochi chilometri di salita. Simpson si stacca. Va in affanno. Gli manca ossigeno, chiede da bere al Fedele Lewis, che s’era fermato in un bar, qualche chilometro prima. Aveva con sè Coca Cola e poi aveva preso del cognac, altro non aveva trovato. Simpson ne beve un goccio, dopo aver preso le pastiglie maledette dalla tasca della maglia. Perde terreno, ha gli occhi starlunati. Lo superano in tanti, troppi. C’è anche Lucien Aimar, un francese che l’anno prima ha vinto il Tour. Si offre di fargli da gregario, ne capisce la sofferenza, non immagina il dramma. Simpson si rifiuta, ormai è in trance. A 5 chilometri dalla vetta, con 42 gradi, il sole che picchia, senza un filo d’ombra, comincia ad arrancare. Va da una parte all’altra della strada, sembra crollare da un momento all’altro. Dalla vettura della sua squadra, cercano di soccorrerlo, lui con un filo di voce dice: “On, on, on. Vado avanti”. Lo rimettono in sella. Dopo qualche decina di metri, crolla di schianto. Lo adagiano sulla pietraia biancastra del “Monte Calvo”, chiamano i soccorsi. Il medico del Tour, il dottor Dumas arriverà dopo 10 minuti, prova la respirazione bocca a bocca, poi gli sistema una maschera per l’ossigeno sul viso. Simpson sta morendo. La tragedia scuote il mondo dello sport. Venti giorni dopo, i risultati dell’autopsia confermeranno che tra le cause della morte di Simpson, le anfetamine erano state decisive. Ne avevano alterato la percezione della fatica, l’avevano spinto ben oltre i limiti della sofferenza.La tragedia del Ventoux si era compiuta.

L.T.