Servono i soldi! Verona in enorme difficoltà Crollo della produzione industriale, Comune con l’acqua alla gola, ristorazione e turismo agonizzanti. Dalle promesse si passi ai fatti

Sono tutti in ginocchio: enti lo­cali, aziende, partite Iva, di­pendenti del settore pri­vato. Tutti tranne il governo che tra una multa da qua­ran­tena e l’altra ha incas­sato 150 milioni, che nelle ul­time ore ha messo a libro paga altri 6 esperti, pardon, esperte, in due delle 16 task force “operative”, che a marzo ha faticato a sganciare 600 euro (il sito dell’Inps era andato in tilt, coincidenze), che a metà maggio ancora non ha ema­nato il “decreto aprile” (an­nun­ciato in pompa ma­gna) diventato ora “decreto ri­lancio” perché chiamarlo “giugno” sarebbe suonato male, ma non si capisce “ri­lancio” di cosa visto che i soldi non ci sono e comun­que, nel momento in cui scri­viamo, ancora non è stato ufficializzato un bel nulla. Non era facile scon­ten­tare destra e sinistra, amici e nemici, ma Conte e sodali ci sono riusciti. Un esempio su tutti: il sindaco Dem di Firenze, Nardella, ha fatto sapere che il tempo è finito. Se il governo non sgancerà i soldi il primo cit­tadino spegnerà parte del­l’illuminazione pubblica, non per protesta ma perché non ci sono più soldi per pagar­la. A Verona l’omo­logo Sboa­­­­rina è infuriato: “An­dremo a Roma anche se non invitati, visto che nes­suno ci ha ancora fissato l’appuntamento col presi­dente del Consiglio”. Il bu­co, nella nostra città, è di al­meno 50 milioni, ma è una stima che definire par­ziale è poco: la cifra, a fine estate, sarà cresciuta espo­nenzial­mente. “Finora” ha sotto­line­ato Sboarina “ab­biamo tamponato coi 35 milioni del­­l’avanzo di b­i­lancio sbloc­­cati dal patto di sta­bilità e coi 15 derivanti dai tagli degli assessorati per i capitoli di spesa non indi­spen­sabili, ma se dob­biamo contare solo sulle nostre forze non c’è futuro per la città”. Sintetizziamo le fonti di approvvigiona­mento dei Comuni: Imu, Tari, tassa di soggiorno, entrate delle aziende partecipate, san­zio­ni, tutti capitoli di spesa che ine­vitabilmente si sono ridotti in modo drastico e senza i quali le amministra­zioni sono costrette a taglia­re i servizi. Veniamo all’in­du­stria: dopo 6 anni la pro­duzione veronese, nel pri­mo trimestre, è calata del -3,4%. Il tonfo, a giugno, po­trebbe essere addirittura del 19,8. “Si tratterebbe dell’ar­re­tra­mento peggiore di sem­pre” fa sapere il pre­sidente di Confindustria Ve­rona, Michele Bauli, il qua­le non si dice sorpreso dai dati attuali (“Le misure re­strittive legittimamente in­trodotte per contenere l’epi­demia hanno portato alla chiusura del 60% delle im­prese”), ma preoccupato per ciò che ci aspetta: “Gli strumenti messi in campo dal governo non sono suf­ficienti. Serve di più per non perdere un quinto della no­stra produzione”. Nel set­tore terziario il 63% delle a­ziende ha già registrato un sensibile calo del fatturato e ciò ha portato a una perdita occupazionale del 6%. Un al­tro settore d’eccellenza del Veronese come quello del vino ha visto le vendite crollare di un terzo. Risto­ran­ti, bar, parrucchieri, a secco da 75 giorni, non san­no ancora in che modo po­tranno riaprire bottega lu­ne­dì: la certezza è che ci sa­ranno molti meno clienti di un tempo. Il rischio è di rice­vere multe da capogiro. Il presidente di Confcom­mercio Verona, Paolo Are­na, lancia l’allarme: “I pro­tocolli devono essere sem­plici e sostenibili, ispirati al buon senso”. A pre­oc­cupare è so­prattutto il possibile obbligo di 4 metri di distan­ziamento tra le persone all’interno dei lo­cali: in que­sto caso i ri­storatori vero­nesi perde­rebbero circa il 70% dei po­sti, una situa­zione insoste­nibile. Ciò, a Verona, com­por­terebbe la chiusura di decine di attività e il licen­ziamento in tronco di mi­gliaia di dipendenti. Tutto questo mentre ci sono an­cora autonomi ai quali non sono stati erogati i 600 euro di marzo e che, visto l’an­dazzo, non vedranno prima di luglio quelli che il governo ha promesso ad aprile. Si salvi chi può.