Poi, all’improvviso, spuntò “The Wall” Oltre 40 anni fa i Pink Floyd "firmarono" un LP che resterà nella storia della musica Quasi 25 milioni di copie in tutto il mondo, un album dal significato molto "speciale"

Se dovessimo cominciare prendendo in considerazione i numeri che ruotano attorno a The Wall potremmo partire così: 41 anni fa appariva nei negozi l’undicesimo album dei Pink Floyd. 24.7 milioni di copie smerciate in tutto il mondo (quelle stimate toccano quota 30 milioni), 26 tracce che spaziano dal funky al folk, dall’hard rock all’heavy fino ad arrivare ad una ballata ed una posizione stabile all’87° posto nella classifica dei 500 album migliori album stilata dal periodico Rolling Stone.
Minimal nell’aspetto della ormai iconica copertina con soli mattoni bianchi ma non altrettanto basic nel contenuto, The Wall è il classico album che sfugge al deterioramento del tempo. Non c’è vecchiaia o cambio generazionale che possa intaccare quello che per molti ha rappresentato il ponte tra gli anni ’70 e ’80, e che ha accompagnato alcuni dei momenti storici più rivoluzionari degli anni ’90.
Strano a dirsi, ma non è sbagliato affermare che The Wall sia nato da uno sputo. Era il 6 luglio del 1977 e la band si stava esibendo allo Stadio Olimpico di Montreal quando un fan delle prime file riuscì ad attirare l’attenzione di Roger Waters, bassista e cantante del gruppo. Il fan, preso da un momento di totale follia, ha iniziato a gridare mentre tentava di scavalcare la transenna che lo divideva dal palco. Sguaiato e fuori controllo, quell’uomo fece da detonatore.
Waters, che a suo dire “voleva solo suonare il suo maledetto pezzo rock in pace” venne colto da un nervoso troppo profondo e probabilmente represso a lungo, facendo l’irreparabile. Scese dal palco e una volta trovatosi di fronte al fan, tenuto a malapena fermo dagli addetti alla security, gli sputò platealmente in faccia.
Per il bassista era inconcepibile il fatto di essere diventati così mainstream. Si rese improvvisamente conto che ai loro concerti, curati con minuzia in ogni dettaglio dove la musica e tutti i fondamenti del rock erano di importanza vitale, erano invece presenti persone di ogni tipo: dai socialmente maleducati ai musicalmente non colti, fino ad arrivare ad orde di persone per niente interessate alla musica, quanto più al partecipare ad un evento così popolare come un concerto dei Pink Floyd. Waters esigeva un pubblico attento, rigoroso e consapevole. Per lui la musica non era uno scherzo. E l’anarchia dei concerti degli anni 70 andava bene fin quando il rock stesso non veniva calpestato dai primissimi fruitori della loro arte.
«Non mi sentivo in contatto con gli spettatori, con il pubblico. Qualcosa non andava, e lo sapevo», con queste parole Roger Waters a distanza di anni dall’accaduto ha spiegato come quel gesto verso quel fan fosse la dimostrazione suprema della sua ormai logora tolleranza verso gli altri. Il pacifista più determinato e convinto del mondo musicale dell’epoca, riversò in quel gesto tutta la sua alienazione tra sé stesso, i suoi fans, e poco più tardi coi membri della band stessa. Nacque così The Wall, il doppio album scritto e imposto da Waters a tutti i membri.

Il pacifista più determinato e convinto del mondo musicale dell’epoca, riversò in quel gesto tutta la sua alienazione tra sé stesso, i suoi fans, e poco più tardi coi membri della band stessa. Nacque così The Wall, il doppio album scritto e imposto da Waters a tutti i membri.
“Non vorrà ancora parlare di guerra e di suo padre vero?», disse il tastierista Richard Wright dopo la bozza che Waters presentò loro la prima volta. Molto di più. The Wall era un insieme di tutte le sofferenze personali di Roger Waters, le ossessioni, il disgusto suscitato dalla guerra, il trauma della morte del padre a causa di questa, una figura materna
paranoica ed iperprotettiva, il divorzio con la moglie, la sua vita che andava a rotoli da ogni punto di vista.
Autobiografico, contro tutti i cattivi maestri, contro la vita logorante ed alienante della rockstar, The Wall era pregno di tutto questo malessere, e Waters lo avrebbe realizzato, con gli altri o da solo.
Durante l’elaborazione del disco le liti tra i membri furono furiose, i punti d’accordo quasi nulli. Waters arrivò a
licenziare Wright, finendo per pagarlo come un qualsiasi musicista che lavora a contratto, per poi ritirarlo dentro la band per ovvi motivi logistici.
Alla fine, The Wall prese vita e nonostante musicalmente non sia considerato un disco particolarmente innovativo,
divenne una pietra miliare nella storia del rock prima, e della musica in generale poi, rimanendo ancora oggi un
simbolo.
Il messaggio di The Wall era granitico: “non vi fate indottrinare da nessuno. Nemmeno da noi”. Era lui contro tutti, e alla fine ci riuscì. The Wall chiuse la storia del gruppo, fece implodere la band su sé stessa e nulla fu come prima. “Another brick in the
wall” risuona ancora oggi come sottofondo di ogni protesta sociale, politica e culturale. Suonato live e in diretta
mondiale da Waters in persona anche dopo il crollo del muro di Berlino, è ancora considerato il brano più incisivo contro le forme più rigide di istruzione scolastica.

Vanessa Righetti