Almodovar fa centro con Madri Parallele e con Penelope Cruz

Dopo l’autobiografismo di Dolor y Gloria, Almodóvar si confronta con la memoria storica del suo paese; lo fa mettendo in scena le Madri Parallele Janis e Ana, due donne capitate per caso nella stessa camera d’ospedale in attesa di partorire; la prima, minorenne dal passato violento, è in cerca del suo posto nel mondo; l’altra, felice della sua maternità, è una fotografa quarantenne, impegnata in un’indagine sulla morte e sepoltura del nonno, rapito e ucciso dal regime franchista. Le due bambine nascono insieme, e mentre le donne si promettono amicizia e supporto, il fato intreccia i loro destini in maniera inattesa.
Con toni più dimessi, colori meno sgargianti del solito e livelli di lettura infiniti, il regista spagnolo ci offre un inventario di tasselli mirati alla riappropriazione dell’identità storica iberica; un’identità che si costruisce con il ricordo di un passato trasformato in memoria collettiva, ma anche con la vita degli eredi di quel passato, ora impegnati a scontrarsi con le sfide del presente: valore della famiglia, identità sessuale, ricerca della verità, dimensione affettiva e fisica dell’amore, persino la stratificazione socio-economica della società.
In qualche passaggio Almodóvar pecca di tracotanza e di inconcludenza, ma la sua eleganza formale unita alle belle interpretazioni di Penélope Cruz e Milena Smit rimette quasi tutto in ordine, ricordandoci che ancora oggi, nonostante lo sfuggire del quotidiano, non esiste futuro senza passato.

VOTO: 7