Amleto e il fardello della coscienza Essere o non essere? Tutti conoscono questa espressione, ma la domanda non è assoluta

Essere o non essere?
Nella prima scena dell’atto terzo dell’Amleto di Shakespeare, il protagonista pronuncia uno dei monologhi più celebri della storia della letteratura e del teatro. Essere o non essere?, si chiede Amleto: «To be, or not to be, that is the question».
Tutti conoscono questa espressione, ma forse è meno noto il contesto in cui essa è inserita.
La domanda è esistenziale, ma non è assoluta: Amleto non si chiede se, in senso assoluto, sia meglio non essere piuttosto che essere.
E poi, cosa vuol dire non essere? Non c’è alcuna prospettiva metafisica in questo monologo. La questione è piuttosto semplice, per la verità: Amleto si chiede se non sia meglio cessare di vivere, piuttosto che vivere in difficoltà, in miseria, morale, spirituale e fisica. Amleto cita apertamente i colpi della fortuna, concetto antico che ha solo in parte il significato che gli attribuiamo oggi. Come già aveva spiegato Machiavelli, la fortuna è l’imponderabile della vita umana, ciò che non si riesce a controllare, il cui esito è incerto.
Non si tratta, quindi, di una forza necessariamente positiva o negativa; ma è la forza che è in grado di vanificare ogni sforzo umano, in modo imprevisto. La domanda di Amleto è stata anche letta come la problematizzazione della legittimità del suicidio. La domanda è puramente laica: è chiaro che la religione cristiana – che dominava la comune mentalità al tempo di Shakespeare – ritiene il suicidio non solo illegittimo, ma lo annovera tra i peggiori peccati, contro la vita umana e quindi contro Dio. Amleto non si pone un problema di questo tipo, anzi. Il suo monologo sembra porre in dubbio l’esistenza di una vita oltremondana. Quali sogni possono avvenire, una volta che l’uomo si è spogliato della sua componente mortale?
Il che sembra significare: ci sarà un luogo o uno spazio per la coscienza, una volta cessata l’esistenza? Il terrore di non sapere cosa ci sarà dopo la morte, spiega Amleto, e la paura che ci possa, invece, essere qualcosa, costringe l’uomo a sopportare i mali presenti.
È il fardello della coscienza, e al contempo una possibile critica alla morale basata sulla logica retributiva: io agisco in un certo modo, sopporto le fatiche e le pene, perché a seconda di come mi sono comportato in vita riceverò un premio o una pena dopo la morte. Se questo è il senso del monologo di Amleto, esso tocca un punto critico su cui molti, in età moderna, si sono concentrati, criticando l’etica imposta dalla religione cristiana e, non a caso, contestata dalla Riforma protestante, in quanto considerata insensata.
EffeEmme