Apindustria Confimi Verona: «Prevediamo un calo di fatturato dal 30 al 70%. In questa situazione di emergenza anche le banche devono fare la loro parte» Il presidente dell’Associazione delle Pmi scaligere, Renato Della Bella, analizza le decisioni del Governo in risposta alla pandemia da nuovo Coronavirus. Molte le criticità che pesano sugli imprenditori. E un grande assente: il mondo bancario

Una doccia fredda per le Pmi manifatturiere. Dopo il susseguirsi di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, il presidente di Apindustria Confimi Verona Renato Della Bella fa il punto della situazione tra le Piccole e Medie Imprese scaligere, evidenziando varie criticità sulle disposizioni del Governo di natura pratica e finanziaria.

«Già nel corso della giornata del 9 marzo si era intuito che, almeno per le regioni del Nord Italia, quanto previsto nel DPCM di quel giorno non sarebbe stato sufficiente a rallentare la diffusione del nuovo Coronavirus Covid-19. I nostri imprenditori, nella difficoltà di programmare le produzioni per la crescente preoccupazione tra i dipendenti e di un’altrettanto crescente difficoltà di approvvigionamento di materiali e servizi di trasporto, erano arrivati ad accettare, in assenza di soluzioni alternative, come estrema ratio anche la chiusura totale per il periodo necessario a invertire la tendenza nella diffusione del virus. Un sacrificio temporaneo pur di ripartire nel più breve tempo possibile con la certezza di ritornare a lavorare con serenità e prospettiva», spiega.

Il Decreto dell’11 marzo, prosegue, «ha scatenato da subito uno scambio di pareri su cosa avremmo dovuto fare dalla mattina seguente. Se aprire le aziende, quali dipendenti fare lavorare e con quali tutele, cosa sarebbe successo alla catena delle forniture in quanto ognuno avrebbe dovuto decidere autonomamente senza nessun vincolo apparente di filiera, quali garanzie avremmo ricevuto in termini di ammortizzatori sociali, di certificazione delle procedure per la tutela sanitaria dei dipendenti, di aiuto finanziario, di gestione degli impegni contrattuali».

Queste le principali criticità che l’ultimo DPCM lascia irrisolte.

Sospensione attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione. «Chi definisce quali reparti e figure professionali vi appartengano? Le nostre sono aziende di produzione di beni e servizi da considerare come unica entità e tutti i nostri collaboratori contribuiscono al risultato finale che è il prodotto che vendiamo. Come si può pensare che in una Pmi l’imprenditore comunichi a qualcuno dei suoi collaboratori che, non essendo lui essenziale, può starsene a casa. Pensare questo vuole dire non conoscere come sono organizzate e come funzionano le nostre Pmi», evidenzia Della Bella.

Protocolli di sicurezza anti-contagio e strumenti di protezione individuale. Da subito ogni azienda si è preoccupata di adottare tutte le misure di prevenzione possibili, applicando le direttive dell’Istituto Superiore della Sanità in materia di contenimento del contagio. «Con questo DPCM, però, viene scaricata sull’imprenditore la responsabilità di garantire la salute dei dipendenti, pena l’impossibilità di mantenere aperta l’azienda. La domanda è: chi certifica le procedure e chi ci garantisce dal rischio che, malgrado queste vengano applicate, nel caso di positività di un nostro dipendente questi non sia autorizzato a rivalersi», continua. Inoltre, il fatto che a livello politico non si sia presa una decisione chiara e netta in merito alle attività che devono o meno rimanere aperte, rimandando alle decisioni individuali degli imprenditori, fa sorgere altri dubbi.

Nel caso in cui un imprenditore decida responsabilmente di non produrre, la scelta che necessariamente comporterà mancate consegne o ritardi è tutelata dalla “causa di forza maggiore” nei confronti di eventuali richieste di penali e risarcimento danni da parte dei clienti che invece, legittimamente, decidessero di proseguire?

Quali ammortizzatori sociali vengono destinati agli imprenditori che decidessero di fermarsi? La CIGO o quella con causale Covid-19? Dopo anni di crisi con massiccio ricorso alla varie forme di cassa integrazione, la differenza è sostanziale, immaginando che l’emergenza durerà a lungo con impatti sulle produzioni che si protrarranno per mesi. Qualora l’imprenditore intenda utilizzare gli strumenti contrattuali suggeriti dal Decreto (ferie, permessi ecc.) perché non indicare la piena titolarità dello stesso, superando possibili, e francamente incomprensibili, rivendicazioni di ferie “estive” da parte di lavoratori o sindacati?

Altre considerazioni sono di natura finanziaria.

«Sicuramente nei prossimi giorni il Governo varerà le manovre a sostegno di famiglie e aziende, ma senza un chiaro e consistente coinvolgimento delle banche tutto quello che verrà messo in campo sarà purtroppo insufficiente. Nella migliore delle ipotesi, tra marzo e aprile le nostre aziende fattureranno dal 30 al 70% in meno, con conseguenti immediate difficoltà finanziarie a breve. La moratoria sui mutui può essere un piccolo sollievo, ma solo per quelle aziende che li hanno. Non dobbiamo dimenticarci che il 2020 era già partito con previsioni di stagnazione se non di decrescita e difficoltà per tutti i settori della nostra economia», sottolinea Della Bella.

È assolutamente necessario, spiega il presidente di Apindustria, che dalle banche siano previste velocissime procedure di incremento fidi con garanzie governative a favore delle aziende e procedure di ricadenziamento dei crediti anticipati, che siano messe in campo forme di finanziamento diretto tramite fidi di cassa a costo zero per dotare il sistema di quelle risorse finanziarie necessarie alla ripartenza delle produzioni. «Senza questo insieme di azioni, coordinate tra loro, andremo sicuramente incontro a mesi in cui si conteranno un numero di decessi sicuramente meno cruenti dal punto di vista umano, ma altrettanto pesanti dal punto di vista economico e sociale – conclude –: quelli delle nostre aziende e dei posti di lavoro che queste hanno sempre assicurato».