Cara Ue, quando un cambio di rotta? Ogni Stato è libero di muoversi in ambito fiscale, senza una linea precisa: così non va

Sin dalla sua costituzione, l’UE ha lasciato a ciascuno Stato membro il potere di introdurre imposte, rimuoverle o adeguarle. A condizione che rispetti le norme dell’UE, ciascuno Stato membro è libero di scegliere il regime fiscale che ritiene più appropriato. In tale quadro, le priorità fondamentali della politica fiscale dell’Unione sono l’eliminazione degli ostacoli fiscali all’attività economica transfrontaliera, la lotta contro la concorrenza fiscale dannosa e l’evasione fiscale e la promozione di una maggiore cooperazione tra le amministrazioni fiscali nel garantire i controlli e la lotta alle frodi. Un maggiore coordinamento a livello di politica tributaria garantirebbe il sostegno delle politiche fiscali degli Stati membri ai più ampi obiettivi strategici dell’UE quali definiti nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e nell’atto per il mercato unico.
Belle parole, bei propositi, ma ancora nei fatti nulla o quasi di concreto. Ed è così da anni ormai. Se guardiamo la realtà di oggi si nota come siano ancora presenti nell’UE Stati quali Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Malta, Cipro ed Ungheria già messi dal 2018 sotto osservazione dalla Commissione UE in quanto “mostrano tratti di paradisi fiscali e facilitano una gestione fiscale aggressiva”. E chi ne beneficia di più sono le grandi multinazionali come i giganti del web che, parole del Commissario europeo Paolo Gentiloni in Commissione nel corso di un’audizione dinanzi alle commissioni Finanze di Camera e Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef, «pagano meno tasse di un negozio di via del Corso». E chi ci rimette sono ovviamente gli Stati come l’Italia, che si vedono erodere parte del gettito fiscale.
Poche settimane fa la Commissione Ue ha pubblicato la sua nuova agenda dei lavori in cui delinea i prossimi passi per realizzare una riforma del regime di tassazione internazionale delle imprese, le cui priorità saranno quelle di consentire una crescita equa e sostenibile e di garantire una tassazione efficace in termini di riscossione.
Un approccio sovranazionale alla fiscalità si è reso necessario a seguito dell’evoluzione del sistema economico, dell’affermarsi della globalizzazione e dell’intensificarsi degli scambi transnazionali su più livelli. Ne sono derivate strategie fiscali sempre più complesse e sofisticate poste in essere da vari soggetti per erodere la base imponibile e dunque sottrarre imposte al fisco consistenti principalmente nel trasferimento dei profitti da Paesi ad alta imposizione a paesi a tassazione nulla o ridotta. A fronte dell’incapacità dei singoli Stati di affrontare il fenomeno in maniera efficace, la questione è stata discussa in sede OCSE fin dal 2013, portando alla conclusione di un accordo sull’attuazione di un piano d’azione sull’erosione
Questa nuova agenda sembra però un modo già visto di affrontare la questione, annunciando lavori che poi verranno (forse) trattati in futuro; “Parole, parole, parole” verrebbe voglia di canticchiare…
E questa forse è la sintesi: la Ue parla molto, conclude poco e i Paesi con una pianificazione fiscale che distorce il libero mercato all’interno dei confini comuni sembrano non accorgersene. E tirano dritto per la loro strada, lasciando le briciole agli altri.

Marco Vantini