“Caro Conte, servono ristori immediati” “Ancora una volta le nostre categorie, la ristorazione in particolare, sono al tappeto E’ il Natale delle beffe. Per rialzare la testa serve solo l’aiuto concreto dello Stato..”

“Se fossimo nel romanzo di Dickens, il Canto di Natale, questo lo potremmo titolare il Natale della beffa”. Utilizza questa immagine Paolo Arena, presidente di Confcommercio Verona per commentare il decreto Natale varato dal Governo “con il solito tempismo del venerdì sera” che contiene misure ancora più stringenti per le festività natalizie.
“Questo provvedimento cade come una mazzata sulle nostre imprese e sui nostri comparti, che si erano preparati d organizzati ad uno spiraglio di riaperture nel mese di dicembre. Il Governo ci regala un panettone amaro. Ci avviamo alla conclusione di un 2020 drammatico da tutti i punti di vista, che ha massacrato la nostra economia e in primis i settori del commercio, turismo e dei servizi”.

“Ricordo che le nostre imprese stanno perdendo dal 50 all’80% del fatturato”, aggiunge il direttore generale Nicola Dal Dosso.

E Fipe-Confcommercio Verona (sigla che rappresenta i pubblici esercizi) sottolinea come, ancora una volta, è il settore della ristorazione a pagare il prezzo più alto. “Il governo ancora una volta decide di scaricare l’onere della riduzione del contagio sui pubblici esercizi, sottoposti da ottobre ad uno stillicidio di provvedimenti”, dice il presidente di FIPE Verona Paolo Artelio. “Che si tratti di zone rosse o arancioni per noi significa una cosa soltanto: bar, ristoranti, pasticcerie, gelaterie resteranno chiusi dal 23 dicembre al 6 gennaio. Un periodo che da solo vale circa il 20% del fatturato di un intero anno. In sostanza il governo, con questa decisione, si assume la responsabilità di decretare la morte di un settore fondamentale per i valori economici e sociali che esprime. Senza adeguati e immediati ristori per tante, troppe aziende del settore sarà impossibile reggere ai nuovi ingenti danni che le limitazioni determineranno. Rimangono due sensazioni poco gradevoli. La prima, più generale, è quella di un Paese stanco, stanco di reagire, persino di capire che, spossato da incertezze e instabilità, sta perdendo il senso e la rotta.
La seconda, che riguarda i pubblici esercizi, che è la perdurante impressione di uno spiacevole pregiudizio che lo accompagna, con la fastidiosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali che finisce per oscurare la realtà”.
Duro anche il commento degli albergatori: “Il decreto Natale infligge l’ennesima batosta per le nostre imprese – afferma Giulio Cavara, presidente di Federalberghi Confcommercio Verona – In dieci dei quattordici giorni che vanno da Natale all’Epifania gli italiani dovranno restare in casa, mentre negli altri quattro sarà in ogni caso vietato uscire dal proprio comune. Una presa in giro per quegli imprenditori che avevano fatto sforzi enormi per mantenere gli alberghi aperti nonostante il divieto di spostarsi da una regione all’altra, le terme chiuse, l’obbligo di cenone in camera e mille altre regole incomprensibili. Il decreto stanzia 650 milioni di euro per tutelare, com’è giusto, i bar e i ristoranti, ma dimentica completamente gli alberghi, che hanno subito danni ancora maggiori”.
La soluzione? “Non c’è, oppure ce ne sarebbe una” dicono tutti. “Ristori immediati e adeguatiper queste categorie colpite”. Già, ma arriveranno ?