Cattolica pronta a chiedere i danni La richiesta di risarcimento quantificata in 500 milioni di euro. La mossa di Castagna

Cattolica Assicurazioni ha inviato una lettera di diffida a Banco Bpm con cui avverte di esser pronta a chiede 500 milioni di euro di risarcimento danni per l’esercizio dell’opzione all’acquisto del 65% nella jointventure bancassicurativa Vera Vita e Vera Assicurazioni, contestando peraltro il diritto di farlo in base all’ingresso di Generali nel capitale.
Lo si apprende da fonti vicine alla questione. La comunicazione segue una dura presa di posizione lo scorso 15 dicembre in cui Cattolica definiva la mossa del Banco Bpm “del tutto priva di fondamento, sotto ogni profilo”.
Nella lettera, Cattolica critica la base delle motivazioni di Bpm sostenendo che si fondano sull’asserzione di un preteso cambio di controllo che sarebbe avvenuto in Cattolica, vale a dire con l’assunzione del controllo della stessa da parte di Assicurazioni Generali. Nulla di più infondato, in fatto e in diritto, e quindi nulla di più pretestuoso e strumentale”.
Il motivo della call annunciata da Banco Bpm sarebbe l’ingresso nel capitale di Cattolica di Generali. Ma la compagnia triestina, si legge nella lettera dei vertici di Cattolica, “non determina, oggi e comunque non essendoci previsioni né tantomeno accordi per il futuro, la maggioranza in assemblea né in alcun modo, neanche per approssimazione, la maggioranza in consiglio di amministrazione”.
Inoltre “quanto riconosciuto in via parasociale, e poi in parte tradotto in alcune clausole statutarie, non comporta neanche minimamente un’influenza dominante sulla gestione di Cattolica in capo ad Assicurazioni Generali, ma solo una rafforzata tutela della stessa come investitore assai rilevante”, si sottolinea dalla compagnia, che ricorda di essere “tuttora cooperativa”.
Ma ritenere Generali socio di controllo in quanto Cattolica ha deliberato di trasformarsi in Spa, con efficacia dall’aprile 2021, ” fa venir meno alla radice la vostra pretesa di esercitare la call option contrattuale in quanto proprio il contratto tra noi intercorso dispone che la call non può essere esercitata ove vi sia una trasformazione di Cattolica appunto in Spa”.
Dalla compagnia veronese si ribadisce che “le vostre affermazioni sono tutte e davvero prive di ogni fondamento, come detto in fatto e in diritto, e anche fantasiose perché travisano la realtà e le norme, nel malcelato, ma comunque non corretto intento di ottenere vantaggi ingiustificati ed ingiustificabili, anzi per coprire od eludere vostre precise responsabilità contrattuali”.
Nel caso in cui “non intervenga da parte vostra una riconsiderazione della posizione assunta -si sottolinea nella lettera- non possiamo che riservarci sin d’ora di agire nei vostri confronti secondo i rimedi che ci competono per legge e per contratto in relazione ai rapporti di partnership”.
L’esercizio della call da parte di Banco Bpm “va respinto in quanto arbitrario e illegittimo, in difetto dei presupposti previsti dagli accordi a tale fine: non si è infatti verificato alcun change of control di Cattolica e, in ogni caso, la stessa clausola negoziale da voi invocata esclude la possibilità di esercitare il diritto di opzione call in caso di trasformazione della società”. Per Cattolica è quindi escluso “qualsivoglia obbligo di cessione delle partecipazioni nelle compagnie Vera Vita e Vera Assicurazioni” e “in via di principio gli accordi di partnership devono proseguire nei termini dagli stessi previsti”.
La compagnia veronese contesta anche la congruità degli importi indicati a titolo di prezzo per l’acquisto delle call option shares e invita la banca guidata da Giuseppe Castagna a fornire entro sette giorni “adeguato, circostanziato, motivato e collaborativo riscontro alla presente”.
Infine, “tenuto anche conto del fatto che voi avete provveduto, unilateralmente e in violazione degli accordi inter partes tuttora vigenti, ad emettere un comunicato stampa sull’esercizio del preteso diritto di call, siamo formalmente a rilevare che tale iniziativa, arbitraria e non condivisa, ha causato alla società rilevantissimi danni sia nella quotazione del titolo sia sotto l’aspetto reputazionale di cui comunque vi chiederemo conto, riservandoci la relativa puntuale quantificazione”.