C’è una speranza Il test sierologico può dare risposte?

Serve o non serve? Con­fe­risce davvero la “patente di immunità” o dà soltanto quella di illusi? Noi che non siamo scienziati, né ci im­provvisiamo tali sui social, abbiamo un’unica certezza: sapere se abbiamo sviluppato o meno gli anticorpi del Covid-19 male non fa. Anzi, potrebbe rivelarsi molto u­tile, d’altronde una via d’u­scita alla “quarantena” pri­ma o poi andrà trovata. Si dirà: gli esperti non sanno ancora se ci saranno casi di recidiva; non conoscono ab­bastanza il virus; il test può dare falsi positivi o falsi negativi. Eppure qualche rassicurazione il test sierologico può fornirla. In al­cune regioni, Veneto compreso, i test sono già co­minciati sui medici e gli in­fermieri in prima linea negli ospedali. Ma ci sono anche ambulatori privati che con poche decine di euro so­no a disposizione dei cittadini. In queste ore il dibattito sui test sierologici im­paz­za. A incendiare la di­scussione è stata l’azienda DiaSorin che ha annunciato di aver completato al Poli­clinico San Matteo di Pavia gli studi necessari al lancio del­l’esame per rilevare la presenza di anticorpi nei pa­zienti infettati dal Sars-COV-2. La società, il cui titolo è subito schizzato in borsa, ha riferito anche di essere al lavoro per ottenere il Mar­chio Ce e l’autorizzazione all’uso di emergenza della Food and Drug Administra­tion entro la fine del mese. «Il risultato arriva in un’ora» si legge nella no­ta diffusa dalla società. «In Italia po­tranno essere analizzati cir­ca 500 mila campioni al gior­no». Il kit automatizzato verifica il legame fra la proteina e l’anticorpo neutralizzante (quello che impedisce alla particella vi­rale di replicarsi nella cellula umana) e lo evidenzia attraverso un segnale luminoso. Nelle persone asintomatiche, si legge «il test rileva la quantità totale di anticorpi (che vengono prodotti in valori diversi fra i 7 e 14 giorni dopo aver contratto l’infezione). Se sono presenti gli anticorpi “killer” permette di considerare queste persone immuni, ma non esclude (con le conoscenze attuali) la loro potenziale infettività, che può essere accertata soltanto con due tamponi nasali». Cosa ne pensano i virologi? Se­condo Pier Lui­gi Lopalco, responsabile del coordinamento regionale per le emergenze epidemiologiche in Puglia, «la ripartenza non dipende dal­la disponibilità di un test a tappeto oppure dal fatto di fare o non fare test allargati alla popolazione. Perché in questo momento» ha ag­giunto «se facessimo un test sierologico a tutti gli italiani oltre il 90%, risulterebbero negativi agli anticorpi». Ma co­me: gli esperti non stimano che i contagiati siano 7-8 volte tanti quelli “ufficiali”? La collega Ilaria Capua è invece favorevole: «Il test sierologico è il più adeguato per capire come siamo mes­si. Fare un test a campione sulla popolazione sar­ebbe anche semplice». Sul­la stessa linea anche il professor Andrea Crisanti, a capo della task force veneta. Il governatore Luca Zaia ha dato mandato di effettuare 56 mila test sui medici per poi estenderli al maggior numero possibile di cittadini. Per il virologo Fa­brizio Pregliasco «il rischio di falsi positivi è molto elevato. Al momento» sottolinea «si tratta di esami validi per un’indagine epidemiologica che ci dica quanto il virus abbia circolato in un certo ambiente, ma non a livello di certificato d’immunità. La performance di questo tipo di test nella migliore delle ipotesi è del 95%». La percentuale, fos­se tale, in realtà sarebbe molto elevata, ma ci atteniamo ai pareri di chi ne sa sicuramente di più. Re­gistriamo che pure la Ger­mania potrebbe seguire la strada degli esami del sangue per dare il via, progressivamente, alla ripartenza. Così molti altri Paesi. Noi, nel dubbio, ci sottoporremo all’esame. Ve­dremo con quali esiti. Male, di sicuro, non ci farà.

A.G.