Conte medita un “lockdown leggero” "Vorrei evitare una chiusura totale" dice il premier, sempre più "marcato a vista"

Giuseppe Conte prende tempo, « il lockdown nazionale va scongiurato» ed è proprio con questo obiettivo che Palazzo Chigi e il ministero della Salute hanno costruito il meccanismo che ha diviso l’Italia in tre fasce. Ma i numeri dell’epidemia costringono il governo a interrogarsi. Come impedire gli assembramenti che consentono al virus di continuare a correre? Il premier non vuole cambiare ancora una volta strategia, anche per non alimentare il sospetto che la caravella dell’esecutivo navighi senza rotta, all’inseguimento del Covid-19. «Non possiamo smontare il criterio scientifico che abbiamo costruito con l ’ultimo Dpcm», ripete Conte. Ovviamente il premier spera che i (debolissimi) segnali di frenata si rafforzino, ma non esclude che il numero dei contagiati e dei morti e lo stress della rete ospedaliera lo costringano a ridiscutere tutto. «Da qui a domenica capiremo se la curva va in una direzione o nell’altra», è il bivio indicato dagli scienziati.
Ecco allora che nel governo si fa largo una nuova strada per tenere la curva sotto controllo senza smentire l’ultimo Dpcm. Arrivare al fine settimana con l’Italia «chiusa» per Covid, con un piano scandito dalle ordinanze del ministro della Salute, dei governatori e dei sindaci per bloccare il più possibile la mobilità. Un lockdown «leggero», che consentirebbe alle imprese, alle fabbriche e alle professioni di andare avanti, ma chiuderebbe bar e ristoranti su quasi tutto il territorio nazionale, limitando il più possibile gli esercizi commerciali.
Allo studio, oltre alla chiusura di alcune tipologie di negozi che avevano ottenuto una deroga nelle zone rosse, anche lo stop ai negozi nel weekend, come già avvenuto per i centri commerciali: rimarrebbero aperti solo alimentari, farmacie, parafarmacie, edicole e tabaccai. La data cruciale resta il 15 novembre. Per domenica il governo prevede che i tre quarti almeno delle regioni siano in fascia arancione o rossa, o in conseguenza delle norme contenute nel Dpcm, o grazie ai provvedimenti assunti dai governatori. La novità è il fortissimo pressing che l’esecutivo, con i ministri Roberto Speranza e Francesco Boccia, sta esercitando sui presidenti delle Regioni e sui sindaci, perché facciano scattare misure più severe: dal lockdown totale nei Comuni dove si sono creati focolai, alla chiusura di strade e piazze in cui troppi cittadini si affollano per il passeggio e lo shopping. «Entro novembre va messo in sicurezza tutto — ha avvertito Boccia in una delle tante call —. Ogni intervento necessario deve essere fatto su scala territoriale».

Azzolina “dura”: “Sulla scuola non accetto cambiamenti”

Il segnale dell’urgenza lo ha dato il presidente dell’Iss Brusaferro, quando ha lanciato l’allarme sulle «gialle» Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Campania, quattro regioni dove è «opportuno che siano anticipate le misure più restrittive». Per tutta la giornata Speranza e Boccia hanno incalzato Bonaccini, Fedriga, Zaia e De Luca, per convincerli a far scattare oggi stesso chiusure rigide. E i governatori hanno capito il messaggio: «Con un indice Rt sopra 1,5 basta un niente e ci si ritrova in zona rossa».

Per evitare assembramenti i sindaci possono agire sulla base del Dpcm, che affida loro il potere di chiudere intere aree di città e paesi. Il testo prevede che si debba garantire «l’accesso a negozi e abitazioni», ma l’ipotesi esplorata in queste ore è lasciare il passaggio verso le sole case private. Anche sulla scuola è battaglia, perché alcuni ministri e governatori vorrebbero sospendere le lezioni in presenza anche nel primo ciclo, mentre la ministra Lucia Azzolina resta «categoricamente contraria».
Per quanto contestato, il modello del monitoraggio ha portato in soli cinque giorni al lockdown delle «rosse» Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte, Calabria e Alto Adige e al passaggio all’arancione di Sicilia, Basilicata, Puglia, Abruzzo, Umbria, Toscana, Liguria.