Da Morandin, pastissada e goti de vin Sofia e il papà gestiscono “alla grandissima”: cicchetti, antipasti, primi e secondi super

La porta d’ingresso piena di adesivi, dalle più disparate provenienze. Da quelli dedicati ai calcio club dell’Hellas, ai diversi Vespa Club della provincia, fino ad arrivare a un “Jamaican Mood” dalle influenze non solo musicali. Per far capire da subito che questo è un posto aperto a tutti, una zona franca, in cui si può essere come si è: “Noi serviamo tutti allo stesso modo, dall’avvocato al poro can”. Sono le parole di Sofia, che assieme al papà, sta portando avanti le vicende della storica Osteria da Morandin, una delle più veraci rimaste tra le mura scaligere. Una classica vetrina da bar all’ingresso, con all’interno una sfilza di prelibatezze: cicchetti, nervetti, polpette, sarde en saor, fritti di pesce, ovetti sodi e una “bondola” da fare a fette. “La mia famiglia la gestisce dal ’90, abbiamo da poco festeggiato i 31 anni, anche se questo posto esiste dal ’37. Io invece sono subentrata a partire dal 2013”.
Sofia, com’è cambiata la zona?
Prima che arrivassi io, c’era una sorta di coprifuoco non scritto, con diversi locali abbastanza loschi. Fortunatamente hanno chiuso, e riaperto altre gestioni valide che stanno restituendo il quartiere a tanti ragazzi. Peccato per alcuni abitanti, che appena sentono un po’ di musica si lamentano.
E con il tuo arrivo come è cambiata l’osteria?
L’impronta è sempre quella, io ho aggiunto qualche piatto della tradizione veneta e abbiamo iniziato
a tener aperto anche la sera. Mio padre invece gestisce la mattina, preparandomi i panini per i primi avventori.
Che tipo di clientela viene da voi?
Apriamo alle 8 per i “nonnini” che si fanno la colazione salata, poi alle 10 usciamo col pesce fritto e
lì cominciano ad arrivare tutti, in una sorta di aperitivo lungo che non finisce mai…(ride). Mia madre sostiene che Porta Vescovo sia una conca, che porta qui dei personaggi diciamo “variopinti”.
In che senso?
Nel senso che potrei scrivere un libro, per quanti ne ho conosciuti. Per esempio quello che sta arrivando adesso (indica con la sguardo), lo chiamiamo Gargamella, e dopo l’ennesimo bicchiere di vino, siamo le uniche in grado di gestire i suoi infiniti discorsi. (ride)
Il nome invece da dove deriva?
Dalla famiglia Morandin che l’ha aperta, tra qualche anno sarà ora del centenario.
Piatti più richiesti?
I soliti della tradizione: bigoli col musso, pastissada de caval, baccalà alla vicentina e poi le nostre sarde en saor sono spettacolari.

La ricetta: “Ah, le nostre sarde ‘n saor…”

Da dove arrivano le sarde?
Io mi affido al mercato di Chioggia tramite un fornitore diretto.
Preparazione?
Le puliamo e subito le friggiamo. Una volta fritte, le metto nell’abbattitore così si rinfrescano un po’, e nel frattempo facciamo andare la cipolla, stufata per diverse ore.
“El saor” da cosa viene dato?
Dalla marinatura con le cipolle, da un goccio di aceto, uvetta e poi le noci.
Accompagnate da?
Insalatina o polenta brustolà. E una bella bollicina di prosecco Nino Franco, il migliore della Valdobbiadene.
Prezzi?
Antipasti e cicchetti 1-2€, primi 7€, secondi dagli 8-15 euro.