Delitto Calabresi, mistero senza fine Il commissario assassinato 49 anni fa, il 17 maggio ‘72: la trama che portò all’omicidio

49 anni fa veniva assassinato il commissario Luigi Calabresi. Calabresi era conosciuto soprattutto per il suo impegno nelle indagini su attentati di matrice politica. Un impegno, però, che si è rivelato, la causa della sua stessa fine.
LA VICENDA
Milano, 17 maggio 1972. Calabresi, allora 34enne, esce, per andare a lavoro, dall’edificio in via Cherubini 6, dove vive al terzo piano con la moglie e i suoi due figli.
Quel giorno, tuttavia, il commissario non riesce nemmeno ad arrivare alla sua auto, una Fiat 500 blu. Infatti, qualcuno dietro di lui preme il grilletto di una pistola calibro 38. I primi due proiettili raggiungono Calabresi alla spalla e ai reni. Sopraffatto, il commissario cade in ginocchio. L’attentatore, allora, lo finisce con un ultimo colpo alla testa. Tutto accade verso le 9.15.
I soccorsi giungono molto rapidamente sul posto. Per Calabresi, però, non c’è più nulla da fare. Viene trasportato d’urgenza ospedale San Carlo. Qui, si registra il suo decesso alle 9.37.
I primi report dei media danno una descrizione sommaria del killer. Si tratta di un ragazzo alto e prestante. Inoltre, si rende noto che con l’uomo vi era pure un complice che aspettava su una 125 blu.
Terminato il loro “compito”, i due si sono allontanati di qualche centinaio di metri dal luogo del misfatto. Giunti all’altezza di via Ariosto hanno, quindi, cambiato loro vettura, salendo su un’Alfa di color chiaro.
I COLPEVOLI
L’identificazione dei colpevoli si rivela piuttosto ostica. Inizialmente, si guardano a diversi membri di organizzazioni politiche sia d’estrema sinistra che di destra. La svolta si ha solo nel 1988. Ciò avviene grazie alla confessione di Leonardo Marino, un venditore di crepes ligure. Marino è pure un ex-membro di Lotta Continua, un movimento della sinistra extraparlamentare.
Quest’ultimo spiega al Pm milanese Ferdinando Pomarici di aver guidato la macchina implicata nell’assassinio di Calabresi. Fa, inoltre, i nomi di altri membri di Lotta Continua. Secondo la sua testimonianza, Ovidio Bompressi è stato il killer. Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, invece, hanno programmato il tutto.
IL MOVENTE
Per capire cosa abbia condotto all’uccisione di Calabresi bisogna tornare al dicembre 1969, quando il commissario sta investigando sull’attentato di piazza Fontana (12 dicembre 1969). Giuseppe Pinelli, un anarchico, è sospettato di essere collegato a tale vicenda. La notte del 15 dicembre, Pinelli cade dal quarto piano della questura milanese dov’è interrogato. Il fatto viene bollato come suicidio. Tuttavia, soprattutto la sinistra extraparlamentare, vede in Calabresi una sorta di colpevole del decesso.
Da questo evento comincia una sorta di campagna diffamatoria nei confronti del commissario. Campagna che poi anche diversi intellettuali e media sostengono. In molti hanno, dunque, da subito messo in relazione l’omicidio Calabresi con tutto questo. Secondo le parole di Marino, inoltre, un altro decesso avrebbe dato la spinta definitiva per l’omicidio. È quella di Franco Serantini, un anarchico morto mentre era detenuto nella prigione Don Bosco a Pisa.
Giorgia Silvestri