E Chiampan disse: “Chiudo la curva” Successe quando circa 500 pseudotifosi gialloblù misero sottosopra la città di Brescia

Fu il primo, Nando Chiampan, a minacciare la chiusura della curva sud. Accadde a dicembre del 1986, dopo i “fattacci’ di Brescia. Gli attriti tra la curva e la dirigenza gialloblu, esplodono dopo che gli ultrà veronesi hanno messo “a ferro e fuoco” la città di Brescia in occasione della trasferta contro le rondinelle. Più di mille veronesi arrivano a Brescia nella mattinata, convinti di trovarsi di fronte gli ultrà bresciani. La mancata presenza dei rivali innesca la furia degli ultrà scaligeri. La zona della stazione bresciana e il viale che porta allo stadio sono teatro di una vera e propria devastazione: oltre 500 auto danneggiate (tra cui quella del sindaco di Verona, Gabriele Sboarina), cassonetti dati alle fiamme, vetrine infrante, bar devastati, passanti aggrediti e scontri furibondi con le forze dell’ordine.
Il numero degli ultrà coinvolti e l’entità dei danni non può passare inosservato. Fino ai fatti di Brescia si pensava che la frangia più estrema dei brigatisti della sud contasse non più di 150-200 individui.
La dirigenza scaligera reagisce duramente: Chiampan minaccia addirittura di ritirare la squadra dal campionato e propone la schedatura sistematica dei brigatisti, mentre il sindaco Sboarina medita di chiudere la curva o di far giocare il Verona a porte chiuse. E Chiampan è d’accordo.
Contemporaneamente, i fatti di Brescia finiscono sul tavolo della Procura della Repubblica di Verona che inizia ad indagare su eventuali connessioni tra la curva veronese e gruppi locali di estrema destra. La polizia effettua centinaia di perquisizioni e il 1° febbraio 1987 vengono arrestati 12 ultrà veronesi con l’accusa di “associazione a delinquere”. Si tratta di un’accusa gravissima: per la prima volta, in Italia, un tifoso di calcio viene trattato alla stregua di un criminale vero e proprio. Nando Chiampan pagò duramente quell’atto di coraggio. Venne contestato, criticato, insultato, persino aggredito. Dopo di lui, diciamolo, quel coraggio non s’è più visto. C’è sempre un filo di paura, nel dire le cose come stanno. Nel dire che i tifosi veri non si discutono e sono la maggior parte. Ma chi usa violenza, striscioni assurdi, cori razzisti, non sono è un tifoso vero. E non può essere difeso con le solite frasi di comodo. Non deve entrare. nè in curva, nè allo stadio. Aveva ragione Chiampan.