“Forse ci vorrà una terza dose di vaccino” Lo dicono alla Pfizer, dove annunciano anche l’ipotesi di “un eventuale ulteriore richiamo” Intanto, scende l’indice Rt in Italia, ora allo 0,85. La curva sembra davvero in... picchiata

Negli Usa si sta prendendo in considerazione la possibilità ricorrere a una terza dose di vaccino anti Covid dopo nove o al massimo 12 mesi dall’ultima somministrazione. L’ipotesi è stata illustrata dal capo scientifico della task force anti-Covid della Casa Bianca, David Kessler, che ha ipotizzato «un richiamo a partire dai soggetti più vulnerabili».
Mentre è ancora allo studio la durata della protezione dei vaccini, stimata al momento a circa nove mesi, la possibilità che sia necessaria una ulteriore dose oltre al ciclo previsto è stata avanzata anche dall’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla: «Ci sono vaccini come quello contro la poliomielite per cui una dose è sufficiente, e ci sono quelli contro l’influenza per i quali c’è bisogno di una ogni anno. Il virus Covid assomiglia più a quello dell’influenza», ha spiegato Bourla.
Probabilmente sarà necessaria una terza dose del vaccino anti-Covid, seguita poi da un richiamo annuale, per mantenere la protezione contro il virus mentre questo si evolve. “Le varianti giocheranno un ruolo chiave. È estremamente importante eliminare il bacino delle persone che possono essere vulnerabili al virus”, ha continuato il Ceo nelle dichiarazioni rilasciate il primo aprile ma diffuse ieri dell’emittente. “Ci sono vaccini come quello per la poliomielite in cui è sufficiente una dose”, ha spiegato “e ci sono vaccini come quello per l’influenza di cui si ha bisogno ogni anno. Il virus Covid assomiglia più al virus dell’influenza che al virus della poliomielite”. I ricercatori non hanno ancora quantificato con certezza la durata della protezione fornita dai vaccini, sebbene l’argomento sia uno dei punti fondamentali degli studi attualmente in corso. Secondo gli esperti, potrebbero essere necessarie nuove dosi o richiami qualora il virus mutasse in maniera abbastanza significativa. Pfizer e la partner BioNTech hanno riferito di recente che il proprio antidoto rimane altamente efficace fino a sei mesi dopo la somministrazione della seconda dose, aggiungendo che sperano di fornire maggiori informazioni sulla protezione successiva ai sei mesi nelle prossime settimane.

BUONE NOTIZIE. L’indice Rt medio nazionale scende a 0.85. Si registra, dunque, un ulteriore calo, visto che la scorsa settimana era a 0.92. Il dato si apprende dalla Cabina di regia, ed è contenuto nel report dell’Istituto superiore di sanità-Ministero della salute sui dati dell’emergenza Covid-19, riunita questa mattina. Cala l’incidenza settimanale dei contagi, che scende a 160,5 per 100mila abitanti nella settimana fra il 5 e l’11 aprile, contro i 210,8 per 100mila abitanti della settimana dal 29 marzo al 4 aprile. Resta comunque elevata l’indicenza, ancora lontana da livelli (50 per 100mila abitanti ) che, ricorda il monitoraggio, «permetterebbero il completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti».
In calo il livello generale del rischio: solo una regione, la Calabria, ha un livello di rischio alto. Sedici fra regioni e province autonome hanno una classificazione di rischio moderato (di cui quattro ad alta probabilità di progressione a rischio alto nelle prossime settimane) e tre Regioni (Abruzzo, Campania, Veneto) e una Provincia Autonoma (Bolzano) che hanno una classificazione di rischio basso. Cinque fra regioni e province autonome, contro gli otto della settimana precedente, hanno un Rt puntuale maggiore di uno. Tra queste, una regione, la Sardegna, ha una trasmissibilità compatibile conuno scenario di tipo 3. Due Regioni – la Sicilia e la Valle d’Aosta – hanno una trasmissibilità compatibile con uno scenario di tipo 2. Le altre Regioni e province autonome hanno una trasmissibilità compatibile con uno scenario di tipo uno.
Resta ancora abbastanza elevato invece l’indice di pressione sulle terapie intensive.