Giustizia per i piccoli angeli! Clamorosa svolta nel caso del batterio-killer? Dal 2018 il Citrobacter ha ucciso 4 neonati all’ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento. Altri 9 sono rimasti cerebrolesi e il bilancio poteva essere addirittura peggiore. Secondo la prima relazione si trovava in un rubinetto. “Possibili negligenze interne”

Leonardo, Nina, Tom­ma­so, Alice. Sono i nomi dei quattro neonati uccisi dalla fine del 2018 allo scorso a­gosto dal Citrobacter, il bat­terio killer che ha seminato il terrore all’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento, chiuso il 12 giugno e riaperto stamattina dopo la sanificazione e l’ap­plicazione dei protocolli di sicurezza. Altre 9 creatu­ri­ne, per colpa del batterio, sono rimaste cerebrolese. In tutto sono stati infettati 96 bimbi: la stragrande mag­gio­ranza, fortunata­mente, se l’è cavata con poco. Quattro angeli morti e 9 con l’esistenza compromessa me­ritano una spiegazione rapida e certa, e i respon­sabili di tale strage, quando e se verranno identificati, me­ritano una pena esem­plare. Ora potrebbe esserci una spiegazione all’acca­du­to, ma c’è comunque da andarci coi piedi di piombo. Dalla relazione consegnata alla Regione dal professor Vincenzo Baldo, ordinario di Igiene e Sanità pubblica all’U­niversità di Padova, e coordinatore della commis­sione esterna di verifica nominata il 17 giugno dal direttore generale della Sanità del Veneto, Dome­nico Mantoan, emerge­reb­be che il batterio si era an­nidato nel rubinetto del lavandino usato dal perso­nale della Terapia intensiva neonatale per prendere l’acqua da dare ai bimbi. Il batterio, stando alla rela­zione, probabilmente si sa­rebbe annidato nel rubinetto a causa del mancato o par­ziale rispetto delle misure igieniche da parte del per­sonale, come il frequente lavaggio delle mani, il cambio dei guanti a ogni cambio di paziente, l’utilizzo di sovrascarpe, copri ca­mici, mascherine. Un altro errore potrebbe essere sta­to quello di ricorrere all’a­cqua del rubinetto e non a quella sterile. Ancora nes­suna certezza, va ribadito. Anche perché si attende la relazione dell’altra commis­sione, composta da rap­presentanti interni all’ammi­nistrazione regionale: il documento verrà con­se­gnato alla procura. I primi controlli da parte dei vertici dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona, diretta dal dottor France­sco Cobello, erano stati avviati a gennaio. L’emer­genza Co­­ronavirus li aveva poi interrotti. Oggi, dice­vamo, il reparto ha riaperto. In queste settimane è stata disposta la bonifica dei filtri dell’aria, la sanificazione de­gli impianti di condi­zio­na­mento, è stato immesso del cloro nella rete idrica. Le stanze sono state sanificate col perossido di idrogeno. “Ho ricevuto la relazione”ha detto il presidente della Re­gione Veneto Luca Zaia. “Ho dato disposizione al se­gretario regionale della Sa­nità di inoltrata alla Procura e di renderla disponibile an­che per i familiari dei bam­bini colpiti dal batterio, in modo che possano cono­scere gli esiti fin da subito”.
Venga fatta giustizia!