Ha la pazienza di un monaco certosino. Parla Giuseppe Franco Viviani Dirigente del sistema bibliotecario urbano, ora in pensione, dal 2018 sta catalogando l’Archivio Storico dell’Accademia di Agricoltura, che è il più grande di Verona. Una vera miniera

Notizie storiche dall’archivio della città

Sono tornati alla luce disegni, documenti e testimonianze di un Vinitaly ante-litteram

L’archivio è raccolto in 12 grandi armadi in legno di metà Ottocento. Fossero tutti vicini, occuperebbero 44 metri lineari. Gli armadi contengono in tutto 290 faldoni, ciascuno dei quali racchiude una sessantina di documenti. L’archivio storico più grande di Verona è quello dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di via Leoncino 6, istituita nel 1768 dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Dal 2018, con la pazienza di un monaco certosino, lo sta catalogando Giuseppe Franco Viviani, dirigente del Sistema bibliotecario urbano ora in pensione, autore di oltre 100 pubblicazioni in ambito bibliografico e storico. Esaminare documento per documento, lettera per lettera, relazione per relazione: leggere tutto, fare sintesi, compilare una scheda e, infine, metterla online. Questo il lavoro che da quasi sei anni sta occupando le giornate dell’ex bibliotecario. Fino ad oggi Viviani ha letto, catalogato e informatizzato i documenti che vanno dal 1768 al 1868.
Dottor Viviani, cos’è uscito finora di interessante?
“Sta uscendo di tutto: notizie storiche, documenti contabili, carteggi, relazioni, curiosità, aneddoti… Una grandissima parte dei veronesi potrebbero trovare lettere o documenti riguardanti i propri beni, la propria ascendenza o le vicende della propria famiglia. In qualche modo sono citati tutti: proprietari terrieri, agricoltori, artigiani, commercianti, letterati”.
La scoperta più importante finora?
“Un vero colpo di fortuna è stato rintracciare una ventina di disegni del 1838, che raffigurano le diverse tecniche di pesca sul lago di Garda. Sono allegati alla relazione inviata in quell’anno dall’Accademia di Agricoltura al Governo Austriaco, che chiedeva se fosse possibile incrementare la pesca sul Garda, migliorandone le tecniche. Ho mandato copie degli originali ai paesi del lago raffigurati, che li hanno esposti nelle sale comunali”.
Qualche altra scoperta?
“L’attestato di una pasticceria milanese, che premiava il pittore Angelo Dall’Oca Bianca per aver inventato la forma del pandoro. Significa che Melegatti inventò sì l’impasto del dolce, ma ispirandosi alla forma ideata dal pittore”.
Veri e propri tesori! Che altro ha scoperto?
“Che i soci dell’Accademia di Agricoltura nel 1866 anticiparono il Vinitaly! Ci sono i documenti di costituzione di una Società Enologica “a somiglianza della trentina” che si formò, su proposta del socio Giulio Camuzzoni, con l’obiettivo di promuovere i vini veronesi oltre i confini del territorio scaligero, vista l’unificazione dell’Italia”.
Andiamo avanti con le scoperte.
“Abbiamo aperto una busta sigillata con ceralacca, datata 1837 e indirizzata a un notaio. Conteneva la formula chimica della salicina inventata dal farmacista veronese Bartolomeo Rigatelli. Praticamente, il farmacista Rigatelli si era avvicinato alla scoperta dell’acido acetilsalicilico, alla base dell’aspirina, sessant’anni prima della Bayer, che la mise in commercio a partire dal 1897”.
Incredibile! Un’altra curiosità?
“É stata censita una raffinatissima carta intestata di colore azzurro, datata 8 giugno 1870, con la quale M. Tappeiner “libraio e lavoratore in galanterie-Verona” (così recita la dicitura della carta intestata) fornisce all’Accademia 5 scatole per l’importo di lire 6. Restiamo col dubbio su cosa potevano essere le galanterie!”.

“Ballotte”, così si votava nel Settecento

Si è imbattuto in brevetti, scoperte etimologiche e toponomastiche. Ma è anche economista

Un altro aneddoto divertente?
“L’origine della parola galoppino. Adesso si usa in modo un po’ dispregiativo, in realtà era un mestiere vero e proprio: era una sorta di postino privato. L’Accademia di Agricoltura aveva il suo “galoppino” per la consegna delle missive. Abbiamo trovato un documento contabile del 1870 con cui l’Accademia paga al proprio “galoppino” Masserotti lire 6 per la consegna ad una cinquantina di destinatari di tre successive convocazioni alle sedute accademiche”.
Qualche documento strano?
“In una busta abbiamo trovato un pezzo di pelle di coniglio: era il campione allegato alla richiesta di brevetto, per il commercio della sostanza inventata per evitare che la pelle dell’animale marcisse. In effetti, era ancora perfettamente conservato”.
Ci racconti qualche altra scoperta.
“Abbiamo scoperto perchè la seconda parte di via Pescheria Vecchia, quella che va da piazzetta Pescheria a via Nizza, si chiama via Al Cristo. Esiste la lettera di un signore che nell’ottobre 1862 chiede all’Accademia di Agricoltura di poter affiggere al muro dell’Orto Botanico un crocefisso, come ringraziamento per essere stato miracolato. Come molti, non mi ero mai accorto dell’esistenza di un bellissimo Cristo in croce, protetto da una teca, posizionato lungo il muro perimetrale del giardino di piazza Indipendenza. Quello che oggi appare come un giardino, infatti, era stato donato all’Accademia di Agricoltura dai francesi (che dal 1796 avevano occupato la città) per farne un orto botanico, che contava allora oltre 2400 specie”.
Cos’altro di interessante ha trovato nell’archivio?
“Ad esempio gli autografi di tutti i maggiori esponenti della vita politica e sociale di Verona dal Settecento alla fine dell’Ottocento. Un centinaio di pseudonimi, usati da scrittori, letterati, giornalisti. Anche curiosità sulla toponomastica: una lettera parla di un palazzo dell’Orologio in via Spade. La strada dovrebbe essere l’attuale via IV Spade, ma qual è il palazzo a cui si fa riferimento?”.
Oltre all’archivio storico, cos’altro si può ammirare negli armadi dell’Accademia?
“Ad esempio lo strumento che usavano i soci dell’Accademia per prendere le decisioni, costruito nel 1768: sono due cilindri uniti insieme, che contengono nella parte bassa le “ballotte”, piccole sfere che andavano inserite nell’uno o nell’altro cilindro, a seconda dell’intenzione di voto: si o no, come sta scritto sul coperchio dei due cilindri. É da “ballotte” che deriva la parola ballottaggio, che oggi usiamo quando dobbiamo scegliere fra due candidati”.
Una curiosità. Come mai da giovane si è laureato in Economia, quando la sua passione era rivolta ai libri e alla storia?
“Mi sono laureato in Storia economica con il professor Gino Barbieri, che poi diventerà presidente della Cassa di Risparmio. Nei miei studi ho sempre curato il taglio economico-sociale. E poi volevo sovvertire la consuetudine che il bibliotecario fosse solo un laureato in materie umanistiche. Si era appena formata a Verona la Facoltà di Economia e Commercio, staccata dall’università di Padova. Era il periodo storico in cui Ugo La Malfa, il segretario del Partito repubblicano, teorizzava il concetto di programmazione economica. Tutti noi giovani dei primi anni Sessanta eravamo affascinati dall’idea di poter governare i flussi economici. Poi abbiamo visto che non è andata così”.
Rossella Lazzarini