“Il Governo ha fatto troppi errori!” Parla Crisanti, a capo della task force del Veneto: “Vi spiego dove ha sbagliato”

«Il governo di un Paese che dopo un mese di “quarantena” conta ancora mille morti al giorno dovrebbe chiedersi cos’ha sbagliato, perché le misure di contenimento sono state inefficaci. E invece abbiamo a che fare con persone arroccate nelle proprie posizioni, che continuano a fare e dire cose sbagliate con sprezzo dell’evidenza. Se una nazione adotta provvedimenti goccia a goccia significa che non ha una visione, che cerca solo di mettere delle pezze una dopo l’altra. Finora chi doveva prendere le decisioni ha rincorso emotivamente la quotidianità senza avere il minimo piano d’azione».
Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, professore all’Imperial College di Londra, è a capo della task force sanitaria del Veneto. La regione guidata da Luca Zaia, al momento, è quella che al Nord ha la percentuale minore di morti e contagiati. In Veneto il tasso di mortalità legata al Coronavirus si aggira attorno al 4%, in Lombardia al 14, in Emilia-Romagna all’11.

Professore, la differenza è enorme: come la spiega?
«Abbiamo fatto più tamponi di tutti per isolare il maggior numero possibile di positivi. Vo’ Euganeo, il primo vero nostro focolaio, è stata chiusa quasi subito, la popolazione è stata sottoposta a un doppio test, prima e dopo la “quarantena”, e il risultato è che i contagi, di fatto, si sono azzerati. Poi c’è la questione legata agli ospedali».
Cioè?
«In quello di Padova, ad esempio, scoperto il primo contagiato abbiamo fatto il tampone a tutte le persone del reparto, sia medici che pazienti, e isolato immediatamente chi aveva contratto il virus. Siamo intervenuti in modo capillare perché la struttura funzionasse al meglio, riducendo al minimo la possibilità che l’epidemia si diffondesse all’interno, cosa che purtroppo è accaduta in alcuni ospedali lombardi. Questo ha permesso anche al nostro personale di lavorare in modo più sereno. Abbiamo sottoposto al test tutti, 6 mila persone, e ora abbiamo un tasso di infezione bassissimo».

Verona però è tra i nuovi focolai d’Italia…
«È vero, e i motivi sono due. Il primo è la vicinanza con Brescia e Bergamo. Il secondo, probabilmente determinante, è che i dirigenti dell’ospedale non erano preparati, e infatti hanno contratto quasi tutti il virus. Senza una guida salda è nata una situazione d’insicurezza che si è ripercossa sulla quotidianità. Se salta l’ospedale salta tutto».

Il governo doveva adottare il “modello Vo’” fin da subito?
«Avrebbe dovuto disporre il campionamento della popolazione in tutte le “zone rosse”. Non averlo fatto peserà sulle coscienze. Il 26 febbraio, a Vo’, il 3% della popolazione era infetta. Su scala nazionale significa che c’erano già un milione e mezzo di contagiati, un numero enorme. L’Italia ha perso due settimane a discutere dei danni all’economia e di quelli d’immagine: una follia. Quelle due settimane, mi creda, le stiamo ancora pagando».

Come se ne esce? Ulteriori restrizioni?
«Non servirebbero».

I suoi colleghi, però, in tivù non fanno che ripetere che per sconfiggere il virus bisogna stare a casa…
«Certo, un periodo di isolamento è necessario, io dico solo che a questo punto non servirebbe a niente imporre ulteriori divieti, la gente li sta già rispettando. Non è colpa degli italiani se abbiamo ancora migliaia di casi al giorno».

Quindi cosa dovremmo fare?
«Vanno sottoposte al tampone domiciliare tutte le persone che chiamano il medico lamentando i sintomi. Idem per i familiari, anche se sono asintomatici. I positivi vanno portati in alberghi e strutture ad hoc per interrompere la catena del contagio. I dati parlano chiaro: le case sono veri e propri incubatori d’infezione. Da questa brutta storia se ne esce solo così».

È la strada che percorrerà il Veneto?
«In realtà coi tamponi abbiamo già cominciato. Al resto credo che ci arriveremo presto. La strategia nazionale, chiamiamola così, non ha funzionato. Bisogna prenderne atto. Questa è una battaglia che si vince sul territorio prima ancora che negli ospedali. Più casi vengono identificati e meno gente arriva al pronto soccorso. Più casi vengono scoperti e più diminuisce la trasmissione».

Alessandro Gonzato