Il nazionalismo algerino e la Francia Parigi non riconosceva pari diritti civili ai musulmani. E reagì con la repressione

Il 22 Luglio 1834 un’ordinanza diede alla Reggenza di Algeri il nome di Possedimenti francesi nell’Africa del Nord e fu istituito il governatorato. Nel 1930, in conseguenza di espropriazioni, valorizzazione di terre incolte e pure e semplici spoliazioni, appartenevano a coloni francesi 2.300.000 ettari di terra, di cui 1.500.000 forniti dalla colonizzazione ufficiale e il resto provenienti da acquisti. La cospicua proprietà privata francese dipese dalle centinaia di migliaia di contadini poveri della Francia, che si erano trasferiti al di là del Mediterraneo e avevano ricevuto i migliori terreni algerini. Costoro venivano chiamati pieds noirs, “piedi neri”, perché sporchi e scalzi, e in patria sarebbero stati gli ultimi mentre in Algeria vivevano da padroni. Durante la seconda Repubblica (1848-51), l’Algeria fu proclamata parte integrante del territorio francese e venne sistematicamente assimilata alla Francia. La politica di assimilazione, però, non concedeva affatto ai musulmani i diritti dei cittadini francesi; anzi, essi erano sottoposti alla politica di assoggettamento stabilita dal Codice dell’indigenato (1881). Il Codice, un insieme disomogeneo di norme, sottometteva i nativi e i lavoratori immigrati ai lavori forzati, vietava loro la circolazione notturna e prevedeva molte altre misure repressive al fine di assicurare il “buon ordine coloniale”. Fu proprio intorno agli anni ‘30 che iniziarono a emergere irresistibili le ragioni che portarono, dopo circa vent’anni, allo scontro armato tra francesi e musulmani. Mentre la popolazione europea cresceva assai poco (833.000 nel 1926 e 984.000 nel 1954), la popolazione indigena registrava un notevole incremento e passò da 5.150.000 del 1926 a 8,5 milioni nel 1954. Il divario demografico accentuò ulteriormente gli squilibri socio-economici fra i due gruppi: i disoccupati rurali raggiunsero in quell’anno il milione, il settore moderno dell’economia, quasi completamente europeo, rese sempre più insostenibile il rapporto bisogni e risorse e la disparità nel tenore di vita acuì irrimediabilmente la separazione fra coloni e algerini. In quel contesto presero forma i primi movimenti nazionalisti, che furono preceduti dalla fondazione a Parigi nel 1925, per opera degli emigrati temporanei, della Stella Nord-Africa (ENA) come costola del Partito Comunista Francese. Si vennero affermando tre grandi tendenze: la prima tradizionalista, del Consiglio degli ulema (1931), diffondeva l’idea di una patria algerina musulmana; la seconda, quella del Partito Popolare Algerino (1937), lottava per l’indipendenza e la rivoluzione sociale, riprendendo gli obiettivi della disciolta ENA; la terza, che trovò espressione nella Federazione degli eletti, reclamava un’autentica assimilazione e il diritto di cittadinanza francese. Il governo francese, sostenuto con forza dai coloni, reagì con la repressione, l’arresto e il carcere di molti leader e la soppressione delle organizzazioni. La disfatta della Francia nel 1940, l’occupazione dell’Algeria da parte degli Americani e le rivalità tra Francesi partigiani di Pétain, di Giraud e di De Gaulle ridiedero fiducia e vigore al nazionalismo algerino. Il 10 Febbraio 1943 Ferhat Abbas pubblicò il Manifesto del popolo algerino, in cui si respingeva la politica di assimilazione che ha “ridotto la società musulmana alla più completa servitù.” E chiariva: “Il carattere saliente e continuo della colonizzazione francese è la subordinazione dell’intero paese con la sua umanità, la sua ricchezza, i suoi strumenti, la sua amministrazione a questo elemento francese ed europeo. La politica di collegamento dell’Algeria alla metropoli, nota come ‘politica di assimilazione’, trova qui la sua fonte, la sua giustificazione e la sua più forte espressione.” Nell’ultima parte del documento, forte della dichiarazione del presidente Roosevelt, che assicurava il rispetto di tutti i popoli, grandi e piccoli, “il popolo algerino chiede oggi, per evitare ogni malinteso e sbarrare la strada alle mire e alle cupidigie che potrebbero nascere domani”: A) la condanna e l’abolizione della colonizzazione, B) il diritto dei popoli all’autodeterminazione, C) una Costituzione per l’Algeria, che garantisca tutti i diritti civili, D) l’immediata ed effettiva partecipazione dei musulmani al governo del loro paese, E) la liberazione di tutti i condannati politici. “La garanzia e la realizzazione di questi cinque punti assicureranno la sincera adesione dell’Algeria alla lotta per il trionfo del Diritto e della Libertà.” Nel Maggio del 1945 si tenne a Guelma e a Setif una manifestazione indipendentista, in cui si chiedeva la liberazione di Messali Hadj, leader del PPA, e a Setif sfociò in uno scontro armato con la polizia francese. Il governo provvisorio di De Gaulle stroncò la rivolta con una spietata repressione e terminò, dopo alcune settimane, con l’uccisione di circa 8.000 algerini. L’anno dopo si costituirono l’Unione Democratica del Manifesto Algerino (UDMA) per opera di Ferhat Abbas e il Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche (MTLD) con Messali Hadj.

Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia