Il Teatro Veronetta tra luce e buio Una riuscita narrazione attraverso il rapporto inscindibile tra questi due elementi

“Il teatro come conoscenza di sé, scoperta della forza del gruppo e costruzione di una collettività”. Così si è proposta al pubblico la rassegna “Festival di Teatro Veronetta 2023” organizzata dalla scuola “Spazio Teatro Giovani”. I laboratori della scuola, diretti da Silvia Masotti e Camilla Zorzi, si sono configurati come occasione per condividere, superare le differenze e coinvolgere in modo diretto e “dietro le quinte” del festival, attrici e attori. L’obiettivo è, da un lato, vivere il teatro in ogni suo aspetto (sociale, psicologico, operativo) e, dall’altro, rispondere a quesiti spesso complessi, utili a stimolare il pensiero critico su tematiche di attualità e interesse collettivo. Oltre cento persone, dai 9 ai 34 anni, si sono messe in gioco studiando e recitando testi classici, focalizzati sul rapporto inscindibile tra “luce e buio”, opposti e complementari. Gli spettacoli della fascia d’età più giovane, realizzati a inizio programmazione, hanno visto in scena “Lessico Familiare” di Natalia Ginzburg, “Il Piccolo Principe” di Saint Exupéry e “Orlando & Co.” liberamente ispirato a “Orlando Furioso” di Ariosto. Il cartellone ha poi proposto varie rappresentazioni legate a ulteriori opere celebri, tra le quali “Prometeo Incatenato” di Eschilo (con un titano che accende il progresso donando all’umanità il fuoco sottratto agli Dei), “Antigone” di Sofocle (tragedia sui concetti di governo e diritto, pilastri portanti della società), “Telemachia” di Omero (poema sulla conquista della propria identità) e “Roma Ore 11” (caso di cronaca sul lavoro femminile). Luce e buio, nel teatro e nella vita reale, diventano ingredienti simbolici che donano, a seconda delle interpretazioni, valenze positive o significati funesti. Nel “Festival di Teatro Veronetta 2023”, spiegano le registe, tali elementi sono “figure interiori del mondo in cui viviamo, con momenti della storia luminosi ed epoche buie, controverse, inafferrabili”. La luce illumina i dettagli opachi della nostra condizione, insieme a desideri e tensioni spesso inesplorati, modellando le sagome, rimarcano i colori, aiutando lo sguardo a intravedere il corretto percorso, generando ombre percettive e metaforiche, talvolta nette, scure e drammatiche (in condizioni di alta luminosità) oppure morbide e armoniche (in presenza di chiarore diffuso). Non a caso, in tutte le arti visive, dalla pittura alla grafica, dal cinema al teatro, quando la luce tocca le cose, varia la scena e descrive nuove situazioni e atmosfere, comunica emozioni e sensazioni, dona concretezza alla realtà. Sul tema è impossibile non citare gli studi di Leonardo da Vinci e la tecnica dello “sfumato graduale”, gioco di fusioni (dei contorni di soggetti e oggetti) capace di rendere fluidi e molto realistici i passaggi tra i diversi particolari dello spazio visibile. La luce, in tutte le sperimentazioni percettive, è sì valutata nella sua fisicità, utile a evidenziare le forme, indicare profondità e definire la posizione degli oggetti (che allontanandosi appaiono sempre più incerti per poi svanire), ma può anche essere immaginata come espressione spirituale, rivelatrice dell’interiorità umana e della forza divina. Così il teatro diventa opportunità per interrogarci sui molteplici rapporti opposti e complementari della nostra esperienza di vita. La rassegna teatrale di Silvia Masotti e Camilla Zorzi si conclude con “Uomini e no” di Elio Vittorini che, non a caso, proprio sul finire dell’opera originale, ci parla di una luce e della sua ombra presenti nella tragica giornata del protagonista che “aveva già veduto il sole sorgere, staccarsi poi a poco a poco, e aveva pensato con lui tutto il giorno, e ora di nuovo questo vedeva: che imbruniva”.

Chiara Antonioli