La Rivoluzione bianca di Pahlavi (Romeo Ferrari) Lo sforzo di modernizzazione del Paese mirava a fare dell’Iran la potenza egemone

Grazie alle cospicue entrate del petrolio (lo stato iraniano tratteneva il 50% dei diritti su tutte le esportazioni petrolifere) lo shah Mohammad Reza Pahlevi impegnò il proprio paese in una profonda trasformazione politica, economica e sociale. L’obiettivo del poderoso programma di riforme, avviato nel 1963, ambiva a rinnovare radicalmente l’Iran per elevarlo a potenza industriale e trasformarlo in una sorta di Giappone del Medio Oriente. Il progetto metteva assieme elementi liberali, che andavano dal diritto al voto per le donne all’economia di mercato (privatizzazione delle aziende dello Stato), con elementi socialisti, come la riforma agraria, che stabiliva l’abolizione del latifondo, o la partecipazione dei lavoratori ai profitti. Inoltre prevedeva l’introduzione di istituti tipici del welfare con la creazione del sistema sanitario, il sistema pensionistico e l’istruzione obbligatoria. Con un plebiscito (1963) il popolo confermò quasi all’unanimità (99,9% voti a favore) il piano di modernizzazione, articolato in 19 grandi riforme, e si doveva realizzare in 15 anni. La distribuzione delle terre appartenenti alla corona e allo stato, iniziata nel 1954, fu il preludio alla “rivoluzione bianca”. La riforma agraria stabilì la dimensione massima delle proprietà fondiarie (10 oppure 15 ettari, a seconda che le terre fossero o no irrigue) e in un decennio fu liquidato il ceto dei latifondisti, lo 0,2% dei proprietari, che possedeva oltre un terzo delle terre coltivabili. Nel contempo fu condotta una vasta opera di alfabetizzazione e fu creato un corpo docente di giovani uomini e donne incaricati a istruire gli abitanti analfabeti delle aree rurali. Tra il 1954 e il 1970 la popolazione crebbe del 50%, mentre gli alunni della scuola primaria quasi quadruplicarono, gli allievi della scuola superiore aumentarono di sette volte e gli studenti universitari di otto. Nel quinquennio 1969-74 il tasso annuo di crescita fu del 12%, il reddito nazionale pro capite passò da meno di 400 dollari a più di 650 dollari e l’Iran divenne il quarto produttore di petrolio nel mondo e il secondo esportatore. Il peso politico del Paese crebbe notevolmente sulla scena internazionale, sostenuto anche dal massiccio armamento dell’esercito, che era finanziato dalle ingenti rendite petrolifere. Il prestigio dell’Iran culminò nel 1971, quando Reza Pahlevi si fece incoronare a Persepoli imperatore di una rinnovata Persia ariana, durante le fastose celebrazioni dei 2.500 anni della monarchia.

*Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia