L’editto di Nantes, il vero manifesto Firmato dal re di Francia Enrico IV è un po’ l’emblema della tolleranza dell’età moderna

La tolleranza è spesso un sentimento, o un atteggiamento, forzato, come emerge dalle sue varie messe in pratica storiche. Nel 1598, con l’editto di Nantes, il re di Francia Enrico IV concede, con alcune condizioni, la libertà di culto per cattolici e riformati sul territorio francese. Questo documento, considerato il manifesto della tolleranza di età moderna, nasce come reazione necessaria di fronte alle devastazioni sociali, politiche e militari perpetrate durante le guerre di religione tra il fronte cattolico e il fronte ugonotto nella seconda metà del Cinquecento. Le lacerazioni provocate da quella che fu, a tutti gli effetti, una guerra civile, sono vive nella mente dei contemporanei, come si nota dalla lettura degli Essais di Michel de Montaigne, e vale la pena considerare che questo editto di tolleranza religiosa seguì a sanguinari avvicendamenti di potere che videro il protestante Enrico di Navarra assurgere al trono di Francia dopo l’assassinio del precedente re cattolico Enrico III e dopo essersi opportunamente – e opportunisticamente – convertito al cattolicesimo: «Parigi val bene una messa». Il carattere esclusivo e condizionale della tolleranza emerge sin dai testi che vengono fatti assurgere a manifesti della tolleranza stessa. È il caso delle opere sulla tolleranza di John Locke, nei quali è vigente una netta rivendicazione della necessità di separare gli ambiti dello Stato e dell’ingerenza delle Chiese, idealmente private di influenza politica, e ove la materia del culto esteriore viene allocata alla competenza dello Stato. E tuttavia, Locke è molto chiaro nell’escludere dal dominio della tolleranza i cattolici e gli atei: questi ultimi, in quanto non partecipano del giuramento civile, dal momento che non riconoscono l’esistenza del presupposto stesso sul quale questo si struttura; i primi, poiché obbediscono a un potere, di fatto, straniero, il potere esercitato dal papato sulle coscienze e, quindi, sulla virtù e sul comportamento. Risulta, quindi, che la teorizzazione della tolleranza, anche da parte di un autore considerato tra i modelli del pensiero liberale, è subordinata al mantenimento della struttura e dell’ordine sociale. Emerge dunque una idiosincrasia in questo concetto di tolleranza, la quale rimane un dispositivo politico che regola l’esteriorità, formalmente rispettando l’autonomia di pensiero nella coscienza, ma che non manca, di fatto, di inserirsi anche in questo dominio. Il problema della tolleranza, in ogni caso, intreccia anche la questione estremamente attuale del multiculturalismo, e della convivenza pacifica di punti di vista differenti e discordanti: un problema di natura teorica, con ricadute visceralmente pratiche ed etiche.

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