L’identità greca raccontata da Erodoto Secondo lo storico era rappresentata dalla frequentazione dei grandi santuari panellenici

Nel V secolo a.C., lo storico greco Erodoto si chiedeva cosa fosse tò hellenikón, «l’essere greco», ovvero il senso più profondo di identità che potesse unire la realtà frammentaria e spesso contesa delle poleis greche.
Da un punto di vista storico, sicuramente l’alleanza contro il nemico comune persiano aveva rafforzato i legami tra le città greche; tuttavia già in precedenza, durante l’età arcaica si erano gradualmente consolidate antiche forme di
culto e cultura (non a caso termini legati dalla stessa radice etimologica) che plasmarono la coscienza collettiva e la consapevolezza dell’essere greci.
Ciò che più accomunava i greci non era tanto la lingua, come potremmo immaginare al giorno d’oggi; anche le tradizioni religiose potevano essere differenti, dato che spesso i riti dedicati alle varie divinità erano spesso a carattere locale e territoriale. La vera essenza dell’identità greca è, secondo Erodoto, la frequentazione dei grandi santuari panellenici, che periodicamente a cadenze regolari ospitavano un susseguirsi di spettacolari manifestazioni che coniugavano l’espressione artistica alla competizione agonistica, in una cornice spirituale e religiosa legata profondamente alla sacralità del luogo. Il santuario panellenico (letteralmente «che unisce tutti i greci») godeva infatti di uno statuto che oggi definiremmo “internazionale”: nell’occasione dei giochi, ad esempio, tutte le attività venivano sospese, comprese quelle belliche, al fine di garantire la sicurezza e un’ampia partecipazione di gruppi che magari al di fuori di quel contesto potevano anche essere in guerra tra loro.
L’origine di questi culti risale ancora all’VIII secolo a. C., ma
mantennero una rilevanza tale da creare e rafforzare una comune identità ellenicanonostante i contrasti e le individualità.
Il santuario più celebre è senza dubbio quello di Olimpia, dedicato a Zeus, dove si tenevano le feste Olimpie (il termine “Olimpiade” che usiamo noi, al contrario, indicava in origine l’intervallo di quattro anni che separava una Olimpia dalla successiva).
Gare agonistiche, rituali religiosi, concorsi poetici e musicali richiamavano un pubblico proveniente da tutte le regioni; di conseguenza l’importanza di questi santuari toccava prospettive economiche, oltre che culturali, in quanto bisogna immaginare che essi diventassero anche enormi centri di commercio e scambio, proprio grazie all’affluenza di cittadini che richiedeva spazi per gli alloggi, manodopera, e tutta una gestione logistica che apportava grandi guadagni alla regione.
A partire dall’inaugurazione dei giochi, con la fiaccola sull’altare sacro, religione, cultura ed economia si fondevano in un evento che non esauriva la sua portata in se stesso, ma era ulteriormente amplificato dai racconti che poi ognuno portava in patria.
In un’epoca in cui la comunicazione di massa era impossibile, non a caso queste manifestazioni diventavano l’occasione per annunci imponenti rivolti alla collettività: ancora nel 196 a.C. Tito Quinzio Flaminino scelse proprio i giochi Istmici per annunciare l’autonomia della Grecia dal dominio macedone, indirizzandosi alla comunità greca proprio nel contesto in cui più si poteva esprimere la sua identità.
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