Lo sprint infinito della freccia del Sud – di Pietro Zardini Il 21 marzo del 2013, se ne andava uno dei più grandi velocisti dello sport mondiale

È il 28 luglio del 1980, Giochi Olimpici di Mosca. Allo stadio Lenin della capitale russa, la corsia della pista che tutti guardano è la numero 8. Tra i favoriti c’è l’italiano Pietro Mennea, atleta 28enne di Barletta, che si accinge a disputare la finale dei 200 metri. Ci sono grandi aspettative su di lui. Solamente un anno prima, in Messico, aveva vinto la stessa tratta registrando il primato mondiale con il tempo di 19”72. Non solo: aveva ottenuto anche il record europeo nei 100 metri con 10”1.
LO SCATTO. Il momento della partenza è una miscela di emozioni: speranza e timore coltivati in tanti anni di durissimi sacrifici. Il pensiero torna per un attimo indietro negli anni, all’infanzia, da dove tutto è incominciato con le sfide alle auto in città. Qualche istante di silenzio, poi lo sparo: si va. L’avvio è buono, ma il campione Allan Wells, di fianco a lui, sembra andare più veloce. Il sorpasso è immediato, il verdetto del duello appare già scritto.
IL RETTILINEO. Nello spalla a spalla serrato, sul rettilineo, l’inglese rimane inizialmente davanti. Il recupero si fa sempre più difficile, ma il velocista azzurro non ne vuole proprio sapere di mollare. Passo dopo passo, qualcosa cambia: Mennea affianca alla pari Wells, infuocando così la fase conclusiva di gara.
LO SPRINT FINALE. Siamo agli ultimi metri, e quella che sta per compiersi è una rimonta prodigiosa. Mennea spinge al massimo e supera Wells sul più bello, aggiudicandosi l’oro per soli due centesimi di secondo. Il cronometro si ferma sul 20”19: uno sprint finale che corona una straordinaria impresa. Il corridore pugliese alza il braccio destro trionfante, consapevole di aver conquistato una vittoria storica.
Questa è l’immagine più nitida che resta di Pietro Mennea, che nove anni fa, il 21 marzo del 2013, ci lasciava per una malattia incurabile. A fianco delle fortune sportive, è ricordato anche per gli studi e l’impegno politico. Laureatosi quattro volte, appesi gli scarpini al chiodo è stato infatti avvocato, docente universitario, commercialista, scrittore ed eurodeputato a Bruxelles. Dopo la sua morte, sono state diverse le dediche, gli omaggi e le iniziative a suo nome. In tanti hanno apprezzato la “Freccia del Sud”, e come non farlo: con le sue corse scolpite nella memoria, ha fatto la storia dell’atletica leggera italiana.