Macbeth non raggiunge la sufficienza Imponente lo sforzo tecnico (forse troppo...), non altrettanto regia e “prestazioni”

Un uomo, una donna, la loro brama di potere, la violenza, la disfatta. Un solo nome: Macbeth. Una delle tragedie shakespeariane più rappresentate in teatro e trasposte per il cinema in una quantità sconfinata di versioni (ben 3 negli ultimi 15 anni) è tornata a infestare cuori e menti degli spettatori con l’elegante interpretazione di Joel Coen, regista americano solitamente appaiato al gemello Ethan, qui alla sua prima prova in solo.
Com’è noto, la piéce narra la tragedia con protagonista un lord scozzese cui viene predetto da un gruppo di streghe un destino regale. Pur di vedere soddisfatta la propria ambizione e avverata la profezia, l’uomo, aizzato da una moglie con mire da regina, si macchierà di tradimenti e violenze e indicibili. Successo, potere e denaro sembrano lì a un passo, ma la loro si rivelerà solo una lenta e ineluttabile discesa verso le fiamme dell’inferno.
Distribuito in pochissime sale e disponibile su Apple Tv, l’esordio in solitaria del gemello si presenta su schermo con un formato 4:3 e con un bianco e nero abbacinante e raffinatissimo. Cura ossessiva per la fotografia e perfezione geometrica sono peraltro i tratti distintivi della firma Coen, che per questa produzione ha sfoggiato le armi pesanti ottenendo una compiutezza visiva imponente: atmosfere oniriche, spazi astratti, strutture metafisiche o escheriane alternate a deserti radi e giochi di ombre espressionisti, il lavoro compiuto dal regista sull’immagine di Macbeth è oggettivamente impeccabile e dimostra una fedeltà delle maestranze al regista (Bruno Delbonnel in primis, direttore della fotografia di molti Coen) che è ammirevole. Ma come Macbeth e Lady in preda alle allucinazioni post-omicide ci mostrano, non tutto ciò che prende corpo sullo schermo è connesso alla perfezione estetica, che anzi deve essere funzionale a una narrazione stratificata e complessa come quella della tragedia shakespeariana; e invece, per un fenomeno di strapotere dell’immagine, nel Macbeth di Coen il necessario equilibrio tra mezzo e contenuto viene meno, lasciando lo spettatore ammirato per lo sforzo tecnico e infastidito dalla poca cura messa, di contro, nella direzione attoriale e dalla noncuranza con cui è stato maneggiato un testo di un’intensità emotivo-drammatica senza precedenti.
Denzel Washington è un lord Macbeth immobile e privo dell’evoluzione psicologica indispensabile al personaggio, dove invece Frances McDormand si cala malamente nei panni di una Lady Macbeth tiepida e completamente mancante di quel carisma capace di scatenare le azioni più violente nel devoto marito.
Trascinandosi tra una battuta e l’altra i due attori sembrano dunque più intenti a recitare un ritornello sacro che a fornire la propria prova. Qualche buona intuizione sulla messa in scena salva in corner la parte finale, ma siamo ben lontani dalle reinterpretazioni del testo di Welles, Kurosawa e Polanski, opere forse non esteticamente inattaccabili, ma capaci di tradurre in immagini il pathos, la disperazione e il dramma sempre vivo di uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.

VOTO 5,5