“Nessuna partita deve essere questione di vita o di morte…” Recalcati racconta: “Neanche una finale olimpica, ora vi spiego”

La ricorda come una sconfitta, diversa dalle altre. Una sconfitta non solo sportiva. Eppure, quella, era la finale olimpica. Quella, era l’unica Nazionale capace di arrivare a una finale olimpica.
Di quella Nazionale, Carlo “Charlie” Recalcati era l’uomo-guida. Il coach. Il trascinatore. “Quando fai l’allenatore -osserva – ti cambiano tutti i parametri. Il giocatore, in fondo, è autorizzato a pensare solo a se stesso. Sì, gioca per la squadra, non è mai da solo, ma quando ha finito di allenarsi, o di giocare la partita, ha fatto il suo. Giù la saracinesca, può pensare ad altro. Per un allenatore no, non è così. Un allenatore lo è per 24 ore al giorno. Deve pensare a tutto, a ogni singolo giocatore, alla squadra, alle motivazioni da dare, alla gestione del gruppo, che non è solo la squadra, ma tutto quello che ci sta attorno. Molto più facile fare ilgiocatore, molto più bello fare l’allenatore”.
Allora, siamo ad Atene. “Siamo ad Atene e nessuno pensa che l’Italia possa andare così lontano. Addirittura in finale. E’ chiaro che il clima è speciale, particolare, perchè una finale olimpica è qualcosa di diverso, non ti capita spesso, nella vita. Così, ci può stare che si perda di vista la dimensione corretta dello sport, di una partita, che resta comunque sempre e solo un momento, una parentesi.
Io non ho mai sopportato da giocatore, gli allenatori che ti dicevano, “questa partita è vita o morte”. Così, da allenatore, ho sempre cercato di non fare questo errore. Di non dare alla squadra la sensazione di essere davanti a una questione di vita o di morte. No, devi sempre avere chiara la tua dimensione. Prima di essere campioni, siamo uomini…”.
Quella volta però…”…sì, quella volta ho sbagliato, in una riunione con la squadra, ho esagerato, forse ho usato proprio quell’espressione che da giocatore non sopportavo”. Così, che fa Carlo Recalcati? “Il giorno dopo, convoco la squadra e rettifico quello che avevo detto. Eravamo davanti a un traguardo storico, “ma non è questione di vita o di morte”.
Il messaggio arriva, per forza. “Questione di credibilità, di fiducia,di coerenza”. Non è l’unico messaggio forte che Recalcati manda alla squadra. “Mi ricordo – sorride – che eravamo ormai verso la conclusione della finale. Eravamo sotto, la partita era ormai andata e non avremmo mai potuto rimontare. Allora, pensai che fosse comunque il momento di indicare un’idea alla squadra. Così, feci di tutto, chiamai time out che non c’entravano niente con la partita. E in quei momenti, cercai
soltanto di far capire al gruppo che quella, comunque, non sarebbe mai stata una sconfitta. Che una medaglia d’argento alle Olimpiadi è sempre una vittoria. Che dovevamo essere orgogliosi di quello che avevamo fatto
e non rimpiangere la medaglia d’oro. Perchè ci sono sconfitte e sconfitte e quella, valeva come una vittoria. Credo che i ragazzi abbiano capito. Allora, nelle dichiarazioni del dopopartita, tutti sottolinearono questo concetto. E anche a distanza di anni, credo non abbiano cambiato idea”.

R.Tom.