Quando a Verona piovevano le bombe Giovanni Priante ha curato la minuziosa ricostruzione fatta da un operaio dell’Agsm

E’uscito“L’anno più lungo di Verona”, il terzo volume di una collana che Giovanni Priante dedica ai fatti della Seconda Guerra Mondiale. Scripta edizioni. In collaborazione con Agsm Aim.

Molte sono le ricerche storiche e gli studi sulla Seconda Guerra Mondiale incentrati sulla vita dei civili delle città, che per la prima volta nella storia dei grandi conflitti, furono sistematicamente coinvolte negli eventi bellici. Poche però hanno il pregio di essere state scritte in “presa diretta’’, proprio come ha fatto il giornalista Giovanni Priante con il diario quotidiano di Giorgio Muraro, operaio dell’AGSM di Verona, redatto tra il luglio del 1944 e il maggio dell’anno successivo, fino al momento della liberazione della città da parte degli americani, con la consegna delle armi in Arena.
Un anno tremendo che portò ulteriore devastazione, a causa dei numerosi attacchi aerei contro la città e le zone limitrofe, mettendo a dura prova psicologicamente e fisicamente la popolazione “sinistrata’’ già impoverita dal continuo rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità al mercato nero.
Per i cittadini e i lavoratori rimasti la vita era un inferno, annota Muraro, il quale pur essendo riuscito a trasferire parte della sua famiglia in Valpantena era costretto per lavoro a restare in città; le devastazioni portate dai continui bombardamenti arrecavano disagi senza fine alla popolazione, e bisognava fare di tutto per assicurare i servizi primari di acqua, luce e gas.
Durante la notte spesso gli allarmi si susseguivano repentini e ravvicinati; il suono della sirena imponeva ai veronesi di avvicinarsi al rifugio più vicino nel minor tempo possibile, e per le persone più fragili come donne anziani e bambini, le possibilità di mettersi in salvo erano di gran lunga inferiori.
Il conflitto era crudo, psicologicamente devastante, ma soprattutto ingiusto; come si può, si chiede più volte Muraro, vivere nella costante paura di morire o di perdere i propri cari in un bombardamento? Eppure il contatto quotidiano con la morte abitua i veronesi a convivere con essa, a renderla parte integrante della loro quotidianità, (pur sempre “Con la speranza, però, che i bombardieri non sgancino sulla città’’), indicando ancora una volta come l’essere umano sia infine in grado di adattarsi a qualunque situazione, per quanto aberrante. Caos al caos veniva aggiunto dalla costante incertezza che regnava sovrana: impossibile capire se l’aereo che in quel momento sorvolava la città fosse degli alleati o meno. A ciò si mischiava, quale ulteriore effetto collaterale di una guerra che sconvolse gli equilibri di una città cambiata radicalmente, la povertà mista ad un certo senso di apatia nei confronti delle altre persone e del mondo esterno. La potenza del racconto è sicuramente radicata nel modo in cui Giorgio Muraro ha scelto di condividere i suoi pensieri e la sua esperienza senza retorica ed enfasi attenendosi semplicemente ai fatti e annottando ciò che è stato. Il suo Diario ci mostra nitidamente come la guerra abbia trasformato la quotidianità e la vita dei veronesi facendo prevalere la rassegnazione sulla disperazione e l’apatia sulla paura.
Francesca Brunelli