Quante cose finiscono in panchina! Sentimenti che se ne vanno, con i vecchi, in fila per il pane, senza sole in fronte

“Vorrei essere libero come un uomo. Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza…”.
Caro Giorgio, è passato qualche bell’anno e non lo potevi sapere. Ci è andata male, malissimo. La natura ha sfidato noi. Oggi parliamo di “Immuno”. Nell’anno del GDPR (per chi non conoscesse “General Delta Protection Regulation”. Suvvia, la nuova legge sulla privacy) fa capolino Covid-19. “Immune” non è più il primo elemento di composti della terminologia scientifica e medica, relativi allo stato di ‘immunità’ dell’organismo. Diventa “Immuno”, la app governativa per il tracciamento del contagio. Il Coronavirus la GDPR l’ha messa in panchina insieme a chi, a pallone, non può più giocare da anni per gli acciacchi della vecchiaia.
Non scriveremo chilometri di inchiostro per spiegare cosa è e come funziona e come improvvisamente sparirà dalle nostre vite una volta finito il contagio. Contagio. Che brivido nella schiena. Non ci sembra qui il caso di spiegare che il “contact tracing” trascina con sé codici sorgente, licenze Open Source MPL 2.0, sistemi PEPP-PT, DP-3T, ROBERT.
Nelle serate della quarantena, alle ore 18.00, dalle finestre si è udito tanto…Fratelli d’Italia, Va pensiero, Se telefonando…qualcuno ha pensato a “I vecchi” del nostro Baglioni. Che canzone quella! Per una malattia difficile da dire, i vecchi mi piacerebbe portarli al mare. Senza “immuno”. I vecchi cosa ne capiscono di app e GDPR? Il nulla assoluto. Eppure loro stanno morendo, sta morendo una intera generazione nata durante una guerra che ritrova intatta al temine dei giorni. Sta morendo senza potersi sedere sulle panchine dei giardini leggendo il giornale, sta morendo facendo ancora la fila per il pane a due metri di distanza dai compagni di bocce senza quel raggio di sole in fronte che la può illudere di avere meno male alle ossa. Immuno li capterebbe in massa ma sapete una cosa? Non ci farebbero caso, i vecchi, abituati come sono ad essere tenuti a debita distanza da chi le app le sa scaricare e i codici sorgente li conosce.
Loro ricordano solo i ruscelli delle gite in montagna in compagnia e il contact tracing gli fa un baffo, a malapena sentono la suoneria di quella diavoleria del cellulare che gli è stato regalato dai nipoti all’ultimo compleanno. Informiamo. Scriviamo. Il nostro “quotidiano” oggi è anche questo. Ci hanno insegnato che la mela rossa di Biancaneve era bella, lucida e succosa. Nelle fiabe, riflettendo attentamente, ci sono cose temibili e orribili che passano attraverso la morte, il buio del bosco, la paura. La mela rossa è un simbolo visibile e tangibile che l’uomo può imparare ad evitare poiché è passato attraverso la sua conoscenza. Ha fatalmente lo stesso colore nella sua rappresentazione. Visibili sono state le sfilate di bare lungo le strade, udibili le sirene nella notte e il silenzio assordante dei nostri passi tra i confini dei 200 metri dalla nostra casa.
Nell’attesa di poter scrivere delle pagine di un buon libro, di poter raccontare di una rappresentazione teatrale nell’estate della nostra città o di poter vedere un buon film insieme, ci alziamo da questo muretto in questa sera di aprile. Mancano i bambini che dopo cena giocano a pallone per la strada come una volta. Eppure non passano automobili. Chiudendo il pc e rientrando, ci chiediamo se la prossima volta, nei 200 metri verso casa, diremo a noi stessi: “E’ stata una bella serata. Nessun contact tracing positivo”.

B.A.