Ricoeur e il problema della traduzione Per il filosofo tradurre significa tradire poichè non esiste una trasposizione perfetta

Uno dei punti più famosi della riflessione del filosofo Paul Ricoeur, tra i più importanti esponenti dell’ermeneutica novecentesca, scomparso relativamente di recente nel 2005, era l’analisi del fenomeno della traduzione. Tradurre un testo, infatti, è un esercizio solo apparentemente semplice, e sicuramente non meccanico, come talvolta la scuola tende a far passare. Tradurre non significa trasporre parola per parola da una lingua all’altra, ma è già un esercizio di interpretazione: per questo, Ricoeur sosteneva che, in fondo, tradurre significa tradire. Vale la pena chiedersi se sia possibile una traduzione perfetta, e la risposta è sempre no: la traduzione sarà costantemente sbagliata, anche se può essere formalmente, sintatticamente e grammaticalmente corretta, e può persino rendere in modo adeguato il senso di ciò che l’autore intendeva dire. Ma ci sono caratteristiche della lingua che non sono trasponibili, e sottintesi veicolati anche solo dalla struttura della frase che vengono inevitabilmente dispersi. Se un testo, per esempio, è volutamente oscuro – magari perché sta parlando un profeta o un indovino – la tentazione inconscia del traduttore sarà spesso di rendere più chiaro e accessibile il significato di quello che il personaggio vuol dire; d’altra parte, se il traduttore riesce a individuare l’intento del testo, sarà ugualmente difficile renderlo in un’altra lingua, perché, soprattutto nel caso di lingue molto lontane dalla nostra o che hanno caratteristiche strutturalmente diverse, la disposizione, le ellissi, le perifrasi sono parte integrante del “senso” della frase. La traduzione è poi un esercizio altamente etico, e questo andrebbe ricordato a chi si affaccia, magari sui banchi di scuola, al mondo della resa di un testo. Si tratta, infatti, della porta di accesso a un mondo altro; non solo, permette di entrare nella mente di un individuo che scrive in un tempo vicino, ma in un contesto diverso, oppure in un tempo lontano, e a questo punto la differenza culturale, valoriale, etica ed estetica cambia immensamente. Tradurre, quindi, è un esercizio da effettuare con rispetto, perché permette effettivamente l’incontro con l’altro, un altro che è diverso da noi e che pure va ascoltato. La traduzione, infatti, non è solo verso il passato e non riguarda soltanto testi letterari: tradurre è importante nella vita quotidiana, in un mondo come il nostro dove è comune incontrare persone che non necessariamente parlano la nostra lingua, e che necessitano di essere aiutate. La traduzione, in questo modo, da fenomeno linguistico diventa fenomeno culturale, la chiave per capire ciò che non capiamo, quindi non conosciamo e, di conseguenza, possiamo a fatica giudicare.

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