Roby Baggio disse: “Lui più forte di me” “La squadra più forte in cui ho giocato era la giovanile del Vicenza e il numero 11 era più bravo di me” disse il Divin Codino. L’11 era Bonfante, che oggi lavora alla Leaderform

“A fine carriera andai a giocare in Prima Categoria a Palazzolo, per la societa’ del presidente Cozza. Oltre al posto in squadra, me ne aveva offerto anche uno nella sua azienda poligrafica, la Leaderform. E sono 23 anni che ci lavoro come stampatore. Diciamo che ho preso la palla al balzo…”.
Come in campo. Instancabile su quella fascia sinistra e sempre diligente. Privo forse di quella malizia che avrebbe potuto portarlo chissà dove. I primi gol nel Bonavicina, squadra del paese, e i genitori che decisero per lui: vada per le giovanili del Vicenza, seppur ci fosse anche il Verona a fargli la corte. Da lì infatti nacquero gli anni più belli della sua carriera e la grande amicizia con Roberto Baggio. Il divin codino disse di lui “La squadra migliore in cui ho giocato era la giovanile del Vicenza, che all’ala sinistra aveva uno molto più bravo di me…”. Quel giocatore risponde al nome di Gianni Bonfante, 56 anni compiuti da poco, che dopo l’esordio a 18 anni in C1 nei “Lanerossi”, passò in C2 a “farsi le ossa” in giro per l’Italia: Teramo, Lucchese e Cesenatico, senza mai riuscire davvero a sfondare. Probabilmente perchè al giovane Gianni interessava solo giocare, divertirsi col pallone e non prendersi troppo sul serio.
Da giovane promessa del calcio italiano, al lavoro in azienda. Rimpianti ?
All’epoca ero uno spensierato, e non avevo considerato il calcio come una professione. Con la testa di adesso mi sarei comportato in maniera diversa, ma ero un ragazzo di 17 anni di Bonavicina, che non era mai uscito dal paese e che aveva anche un po’ paura a spostarsi. Negli anni a venire mi voleva anche Zaccheroni al Venezia in B, ma Zamparini decise diversamente. L’unico vero rimpianto rimane forse quello di aver lasciato troppo presto il calcio professionistico, per passare in Interregionale. Poi si sa, è difficile tornare indietro.
E quando ha smesso, non ha provato a mettersi nei panni dell’allenatore?
Sì, quando ho smesso nel ’98 ho tentato di allenare, ma poi ma col lavoro a turni diventava impossibile. Ho preferito un lavoro sicuro per la mia famiglia e per mio figlio che ora ha 17 anni.
Ci racconta un po’ del Baggio che ha conosciuto?
Abbiamo fatto 2 anni di allievi assieme, lui era già un fuoriclasse e più che altro era furbo, non lo potevi fregare. Sia in campo che fuori ci trovavamo bene, avevamo un bel rapporto, lui veniva spesso a casa mia e anch’io da lui. L’amicizia è rimasta tuttora, per dire: nel giorno del mio cinquantesimo compleanno, tramite amicizie comuni con Damiano Tommasi, mi hanno organizzato una festa a sorpresa e si è presentato anche Roby Baggio. Una serata indimenticabile, non pensavo potesse succedere una cosa del genere.
E del gol alla Juventus invece, cosa ricorda?
Era la settimana prima della finale di Coppa Campioni che loro persero contro l’Amburgo ad Atene. Vennero a giocare a Vicenza. Era la Juve di Zoff, Cabrini, Tardelli, Platinì, Boniek, Rossi e forse giocarono senza rischiare di farsi male. Io e Baggio entrammo nel secondo tempo, e la Juve passò in vantaggio con Pablito. Dopo sei minuti il pareggio portò la mia firma, riuscii a battere Bodini, la riserva di Zoff. Alla fine vincemmo 2-1, con il raddoppio di Nicolini. Ricordo ancora l’emozione di vedere lo stadio Menti pieno di gente, fu qualcosa di incredibile.
Fabio Ridolfi