Ruffo tra femminicidi e superstizioni “Profondo Rosso Veronese’’ è l’ultimo romanzo del pedagogista: una trilogia

Nicola Ruffo è un pedagogista formatore nato a Verona nel 1969. Socio CICAP, si occupa di indagini del mistero con taglio critico e scientifico, oltre che collaborare con varie case editrici e svolgere lezioni e corsi presso le libere università popolari sul romanzo giallo. Ruffo caratterizza la sua scrittura attraverso ricerche storiche di casi realmente accaduti, grazie a consultazioni e ricerche in archivi di giornale, archivi parrocchiali, Archivio di Stato, ricognizioni dei luoghi teatro delle vicende trattate, raccolta di testimonianze, e tanto altro ancora. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare del suo ultimo romanzo, ma per arrivare a “Profondo Rosso Veronese”, dobbiamo prima presentare i due volumi precedenti, “Nero Veronese” e “Giallo Veronese”, tutti editi dalla casa editrice veronese Delmiglio. «”Profondo rosso veronese” chiude il trittico iniziato con “Nero veronese” e proseguito con “Giallo veronese” ed appartengono ad un progetto nato da un felice incontro tra il sottoscritto e l’editore Emanuele Delmiglio, appassionato come me di noir, letteratura gialla e misteri. Di testi sulla storia di Verona e del suo territorio ce ne erano molti, ma mancava qualcosa di specifico sul lato oscuro della città scaligera. Abbiamo, quindi, scartato i casi risolti concentrandoci sui cosiddetti “cold case”, inserendo fatti di una certa rilevanza sui quali però permanevano zone grigie, come quelli su Carlotta Aschieri e Rita Rosani. Nel progetto ho coinvolto la mia amica Chiara Begnini per la sua competenza in ambito storico e letterario e dopo una vasta ricerca d’archivio abbiamo selezionato quindici casi con i quali è nato “Nero veronese”. Il successo è andato oltre le nostre aspettative, ed ecco “Giallo veronese” che si lega al precedente per la filosofia adottata: recuperare dal passato storie più o meno dimenticate e restituirle alla memoria collettiva.» E arriviamo a parlare dell’ultimo arrivo “PROFONDO ROSSO VERONESE” «Se nei primi due libri mi sono soffermato sugli anni Quaranta del secolo scorso, con “Profondo rosso veronese” mi sono spinto fino agli anni Settanta. Alcuni capitoli sono dedicati a casi specifici di processi che interessarono Verona alla fine dell’Ottocento e oggi completamente dimenticati. Altri invece si occupano di fenomeni più estesi e raggruppano più temi, come il tema dei femminicidi o della superstizione. Sono molto contento di questo libro anche per delle indagini su fenomeni criminosi che hanno insanguinato la nostra storia recente: il terrorismo altoatesino e la mafia della carne; due realtà molto complesse sulle quali pesa ancora molta omertà.» Parliamo di eventi non solo recenti, ma che raggiungono anche gli ultimi decenni dell’Ottocento e Novecento, giusto? «L’arco cronologico delle mie indagini va dall’Ottocento a buona parte del Novecento. Il caso più antico risale al 1829: quello della pastorella di Monte, a Sant’Ambrogio di Valpolicella. I più recenti sono una serie di delitti misteriosi avvenuti a Verona e provincia agli inizi degli anni Settanta, fra cui quello delle donne decapitate.» Perché dovremmo leggere Profondo Rosso Veronese? «Lo ritengo uno spaccato sulla nostra storia passata. Si pensi che ancora oggi si indaga sul fenomeno della mafia della carne, una realtà criminale altamente aggressiva che ha terrorizzato la nostra provincia tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, con tanto di esecuzioni, e che certi colpevoli, mai identificati, sono ancora presenti e continuano a far paura a chi sa la verità, ma tace.»

Gianfranco Iovino