Sacchi e Capello, i consigli per ripartire – di Giorgio Pasetto “Siamo rimasti a un calcio superato, di cui l’Europeo di Mancini è stata solo un’eccezione”

La nostra nazionale di calcio ha evidenziato in poco tempo una rapida evoluzione che ci ha portato ad essere campioni d’Europa nel 2021, ma una altrettanto rapida involuzione che ci ha portato all’esclusione dai prossimi mondiali di calcio 2022 in Qatar, che si svolgeranno dal 21 novembre al 18 dicembre.
Arrigo Sacchi: “Quello che è successo a Palermo contro la Macedonia sono dodici anni che succede con le squadre di club. E’ dal 2010 che non vinciamo nulla in Europa, dopo la Champions League dell’Inter di Mourinho. La Nazionale all’Europeo è stata una meravigliosa eccezione cui tutti dobbiamo essere grati perché ci ha regalato un trofeo conquistato con merito e bel gioco. Ma è stata un’eccezione, appunto, e non certo una regola”.
“I settori giovanili sono pieni di stranieri comprati come fossero stock di frutta e verdura, le società sono piene di debiti, le squadre non vincono nulla fuori dall’Italia e nessuno alza la voce per dire qualcosa? All’estero corrono, costruiscono centri federali, si dà supporto alla crescita dei giovani. Noi no. Perché?”
“Il calcio italiano soffre di arretratezza culturale, non ci sono idee nuove. Le altre nazioni si evolvono e noi siamo rimasti a sessant’anni fa. Lo dico chiaramente: i meno colpevoli di questa situazione sono i giocatori e l’allenatore. Qui il problema è istituzionale”.

Fabio Capello: “Il nostro è un calcio che imita il Guardiola di 15 anni fa, tutti passaggetti laterali, nessuna verticalità, poca forza fisica, la disabitudine al contrasto: e invece dovremmo inseguire il modello di Klopp, un calcio alla tedesca”.
“L’unica a fare questo in Italia è l’Atalanta, e guardate che risultati ha avuto. In Europa si gioca a un altro ritmo, e non siamo abituati. Certo, i settori giovanili hanno pochi italiani, i giovani convocabili non trovano spazio in A, ma alla base c’è questa idea di calcio sbagliata. Siamo il Paese del passaggio indietro al portiere”.
“La via è il modello tedesco, se inseguiamo quello spagnolo la tecnica non c’è”.
Affermazioni forti e chiare, che dovrebbero contribuire a far riflettere tutto il sistema calcio italiano, ma anche la politica sportiva, e conseguente elaborare una strategia evolutiva. Dobbiamo necessariamente ripartire dai settori giovanili, dall’impiantistica sportiva ormai fatiscente, sia nelle città che nelle aree periferiche. L’università di scienze motorie sforna annualmente giovani laureati, ben preparati, che potrebbero essere coinvolti nella ricostruzione generale; invece spesso vengono emarginati a favore di tecnici con dubbia formazione.
Per Fabio Capello il modello tecnico-sportivo da imitare è quello tedesco: aggiungo che lo è anche per l’architettura delle società sportive dilettantistiche e professionistiche.
Nei club tedeschi l’azionariato popolare si è inserito in modo equilibrato (come suggerito in Italia da Carlo Cottarelli) insieme agli asset detenuti da gruppi imprenditoriali e fondi d’investimento.
Nelle federazioni, nelle fondazioni e negli assessorati, la competenza relativa all’impiantistica sportiva e alla gestione dello sport, che è anche salute, benessere e qualità della vita, richiede competenze specifiche.