Scenografia come installazione d’arte In occasione dei cento anni del Festival lirico un allestimento di Stefano Poda

Una versione del tutto inedita di “Aida” è andata in scena nella splendida cornice della nostra Arena, in occasione dei cento anni del Festival Lirico, preludio di un ricco calendario che ci accompagnerà nei prossimi tre mesi. “100voltelaprimavolta” è il messaggio di quest’anno e la decisione di iniziare la stagione proprio con la storia di Aida, figlia di un re e schiava in Egitto, non è casuale. Già rappresentata nella prima esibizione lirica veronese del 1913, l’opera di Giuseppe Verdi è diventata, nel tempo, l’emblema del nostro festival. La produzione televisiva del programma è stata curata da un corposo gruppo di professioniste e professionisti, trasmessa in diretta mondovisione e, in segno di festa e cultura diffusa, proiettata su maxischermi nei quartieri cittadini. Invece, all’orchestra diretta da Marco Armiliato si è affiancato il cast canoro guidato dalla soprano Anna Netrebko (nel ruolo di Aida) e dal tenore Yusif Eyvazov (nelle vesti del comandante Radamès). L’allestimento 2023 firmato dal registra, coreografo, scenografo e light designer Stefano Poda, sottolinea la solennità del racconto e integra, nella struttura dell’anfiteatro, luminose architetture, trasparenti piramidi e metalliche costruzioni. Il palcoscenico, svela il regista, diventa “un piccolo universo carico di esperienze, tecnologico, dinamico, cangiante, sorprendente” ma traccia, quantomeno nel suo intendimento, uno spettacolo “riconoscibile e familiare”, capace di unire ambientazioni grandiose a sguardi intimisti, da percepire nella loro integrità. Le proposte di Poda, misteriose e spiazzanti, non guardano alle convenzioni e immaginano, attraverso un filtro visionario, una rinnovata riflessione sulla dimensione umana. La scenografia si presenta al pubblico come una vera e propria installazione artistica dominata da una maestosa mano meccanica, circondata da piccole mani e posta su una piattaforma dall’aspetto complessivo tanto futurista quanto inquietante. Sulle gradinate irrompono tragici rottami e una colonna greca danneggiata, probabili richiami alle troppe guerre di ieri e di oggi. Nel percorso visivo, l’intreccio di passato e presente fa emergere una modalità narrativa che rende quasi marginale l’originario realismo verdiano. Il ricordo dell’antico Egitto ci giunge grazie a piramidi virtuali create con le trasparenze dei raggi laser e a sorprendenti costumi dalle stoffe plissettate, luminose, ricche di ricami e pietre. Il disegno di Poda supera la tradizione figurativa delle centenarie scenografie areniane con inconsuete soluzioni di unità concettuale ed estetica che richiedono, necessariamente, una certa disponibilità a interrogarsi per riuscire a osservare da nuovi punti di vista. Risulta interessante la scelta di ricorrere al “simbolismo della mano” come elemento dominante in grado di evocare varie immagini: capacità costruttiva ma anche distruttiva, potere e forza, sacralità e immoralità. La mano lascia un’impronta tangibile, supporta la comunicazione, genera linguaggio sociale e culturale, proietta energia, suggella patti. Nelle linee del palmo pare sia scritta la nostra storia e, in ogni religione, con le mani giunte si prega. Le dita accusano, scelgono e, se si toccano, sono in grado di connetterci in un fenomeno definito “reciprocità sensoriale”.

Chiara Antonioli