Sul paradosso di Popper e dintorni Diceva: “Perchè una società aperta possa sussistere, deve saper reprimere l’intolleranza”

(GERMANY OUT) *28.07.1902-17.09.1994+Wissenschaftler, Philosoph, GrossbritannienPorträt- 25.06.1987 (Photo by Prange/ullstein bild via Getty Images)

Il paradosso può essere definito un’affermazione controintuitiva, un ragionamento che non risponde a una data logica, una struttura di pensiero che contraddice, nei suoi contenuti, il senso comune. Nell’ambito della riflessione sulla tolleranza, il paradosso più famoso è senza dubbio quello formulato dal filosofo ed epistemologo Karl Popper: perché una società aperta, e quindi tollerante, possa sussistere, essa deve reprimere, anche con la forza quando necessario, le manifestazioni di intolleranza.
Dal momento che tale supposto paradosso non è tale rispetto alla struttura logica, dato che il ragionamento regge perfettamente, la natura controintuitiva deve risiedere nel suo contenuto. Tuttavia, la contraddizione è solo apparente, o, quantomeno, risulta tale solo agli occhi di chi si fa propugnatore di un’istanza di liberalismo tale da non considerare le ricadute sociali delle azioni di gruppi o individui e, in particolare, le reazioni operate da un agente sovraindividuale, quale può essere la società, appunto, o lo Stato.
È questo il caso del teorico liberale Rawls, il quale cadeva in patente contraddizione nel rilevare come una società che reprimesse gli intolleranti sarebbe ingiusta e dunque condannabile, ma rivendicava allo stesso tempo il diritto per la società a difendere se stessa.
Che cosa sia questa società non è dato sapere, se è vero – e non è vero – che secondo uno dei cardini del pensiero liberal-liberista, espresso per bocca di una delle sue più ferventi praticanti, Margaret Thatcher, «there is no such thing as society». È chiaro, però, che una compagine sociale all’interno della quale siano permessi pensieri e azioni distruttivi è destinata effettivamente a perire. Il motivo per cui ciò non avviene è che ogni società si regge, anche, su un’opzione politica, che permette di individuare il potenziale elemento nocivo all’interno della stessa. È questo il caso dell’Italia odierna. La Carta costituzionale, nata in un momento storico ben preciso e perfettamente riconoscibile in alcuni dei suoi articoli fondamentali, esclude, per esempio, la possibilità di reinstaurare, in ogni forma, il decostituito partito fascista, e sancisce il reato di apologia del fascismo come atteggiamento contrario al fondamento stesso della Repubblica: il fascismo cessa di essere un’opinione, diviene un crimine.
Se affermazioni in linea con quanto condannato in questo caso dalla Costituzione, o altre, tese a escludere, offendere, discriminare ciò che si percepisce come diverso debbano essere tollerate alla luce dei loro effetti sociali – e individuali –, è questione che si lascia al lettore.

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