Tra ingiustizia e disuguaglianza sociale I focus tematici sui quali si costruisce la struttura del film “Memorie di un assassino’’

Memorie di un assassino (Amazon Prime Video – 2003) Tra il 1986 e il 1991 in un villaggio della Corea del Sud vennero documentati i primi omicidi seriali del paese. Prima una giovane donna, ritrovata in un canale nelle zone rurali limitrofe al centro; pochi mesi dopo un’altra vittima. Mentre lo spettro di un serial killer si fa spazio nell’immaginario della popolazione, due detective di campagna, rozzi e con i sensi annebbiati da cibo e alcool, cercano di ricostruire la personalità dell’assassino, rincorrendo sensazioni e analizzando modalità e ragioni del suo agire. Distribuito nelle sale italiane 17 anni dopo la sua uscita e ora in streaming, il capolavoro del regista Bong Joon-ho risale agli inizi della sua carriera ma contiene al suo interno tutte le tracce delle grandi questioni socio-culturali tipiche del genio coreano. Come già nel pluripremiato Parasite, dunque, disuguaglianza sociale, ingiustizia e dicotomia bene-male sono i focus tematici sui quali si costruisce la struttura del film, che mette al centro l’incapacità intellettiva dei due detective di fronte a un male talmente luciferino da contagiare tutti coloro che vi gravitano intorno. A una complessa analisi dell’animo umano si affianca poi anche il triste panorama di una Corea in piena crisi dittatoriale e con tanto di legge marziale, condizione distruttiva per un popolo al quale è stata sottratta la possibilità di distinguere il falso dal vero, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Il cerchio allora non può far altro che chiudersi alla stessa maniera con cui si era aperto: la violenza del microcosmo narrativo del film non è altro che proiezione di quella di una società brutale fin nelle sue più intime pieghe. Nessuna speranza, nessuna via d’uscita. Piccole donne (Netlflix – 2019) Presentando i suoi racconti a editori più interessati agli intrecci scandalistici che alle narrazioni drammatiche della vita vera, una Jo Marc già adulta rievoca la storia della sua famiglia e del rapporto con le sorelle, rendendosi così narratrice e insieme protagonista dell’intero impianto narrativo. In una sequenza in cui le sorelle March camminano nella neve, la sempre caustica Jo, impegnata in uno strabordante dialogo, urla al mondo l’unicità della sua voce: «io uso parole pesanti, che hanno un significato», ci dice fiera la scrittrice, aggrappandosi alle certezze della propria adolescenza. Intorno alla tempesta di inquietudini e sicurezze della sua protagonista gira infatti l’intero adattamento di Greta Gerwig, che qui ci trascina dentro una storia di formazione capace, a vari livelli, di sconvolgere e insieme valorizzare il modello letterario. Scelta coraggiosissima e rischiosa, che, al netto di qualche schematismo nella messa in scena, riesce a ricreare l’immaginario del romanzo dotandolo di un’equilibrata modernità di toni e di uno sguardo delicatissimo verso l’universo delle relazioni famigliari e della femminilità contemporanea. Di grande valore inoltre il lavoro svolto dal cast stellare, composto da nomi del calibro di Saoirse Ronan, Laura Dern, Meryl Streep e Florence Pugh.

Maria Letizia Cilea