Una vita nella storia degli altri. Parla Gabriella de Strobel L’avvocata, che si occupa soprattutto di vicende familiari, scherza anche sul suo cognome: “Mi ha creato sempre un sacco di problemi per la difficile trascrizione”. Punta il dito sui social che hanno cancellato ogni privacy. A contatto con i casi di violenza

L’impronunciabile cognome austriaco de Strobel de Haustadt e Schwanenfeld appartiene alla sua famiglia dai tempi del Sacro Romano Impero. É il cognome, sconosciuto ai più, dell’avvocata Gabriella de Strobel, specializzata nel diritto di famiglia anche sotto il profilo internazionale, moglie dal 1980 e dal 1987 socia, nello studio di via Santa Chiara 15, dell’avvocato Lorenzo Picotti, professore di Diritto penale all’Università di Verona. Dopo la laurea a Bologna, nel 1982, l’avvocata de Strobel si è occupata di giustizia minorile. Ha vinto anche un premio, nel 1985, per la miglior tesi in diritto penitenziario. Poi la specializzazione nel diritto di famiglia. Molte delle separazioni fra coniugi, a Verona, sono transitate dal suo studio. Ha fondato l’associazione Ve.Ga-Veronesi Giuriste Associate.
Avvocata de Strobel, credo che nessuno la chiami con il suo cognome completo!
“Bello, importante, ma che mi ha creato sempre un sacco di problemi, vista la difficile trascrizione! Nel 1861 un mio avo, prima alto funzionario del Regno di Parma, combattè al fianco di Garibaldi, rinunciando al titolo nobiliare e diventando semplicemente Pellegrino Strobel. Era un paleontologo di fama mondiale: fatta l’unità d’Italia, divenne il primo rettore dell’Università di Parma. Aveva perso tutti i beni, confiscati dagli austriaci, ma si riappropriò, nel testamento, del cognome nobiliare”.
Lei è nata a Roma, quando è arrivata a Verona?
“Da bambina, al seguito di mio papà, che è stato vicedirettore generale di Cattolica Assicurazioni”.
Partiamo dalla crisi della famiglia: nel 2021 a Verona e provincia ci sono stati 36.576 divorzi.
“Il numero dei divorzi non corrisponde a quello delle separazioni, che sono quasi il doppio. Dipende dall’età delle persone che si separano: molti non sono interessati ad arrivare al divorzio”.
La convivenza forzosa durante l’epidemia ha determinato molte crisi familiari.
“Il numero delle separazioni ha avuto un balzo notevole dopo il Covid, che ha fatto scoppiare molte situazioni personali ed economiche. Le crisi economiche si portano sempre dietro anche le crisi familiari”.
Negli anni, come sono cambiate le separazioni?
“All’inizio i giovani si separavano un po’ meno. Negli ultimi anni vedo che si separano persone di tutte le età. Fra i 35 e i 45 anni in maggioranza, ma negli ultimi tempi si separano anche coniugi fra i 60 e i 70 anni”.
Quali sono le cause principali che portano alla fine di un matrimonio?
“Le problematiche che vedo sono quattro: l’infedeltà coniugale, che è al primo posto, il carico dei figli e poi l’impegno per l’acquisto della casa”.
E la quarta?
“La violenza in famiglia, ma quella merita un discorso a parte”.
Anche i figli sono diventati un problema?
“Nelle coppie giovani la nascita dei figli è destabilizzante. Se la donna lavora e il partner non condivide la cura dei figli, la crisi è certa. Oggi le giovani hanno rotto il tetto di cristallo della formazione: studiano, sono le più brave. Ma quando si costruiscono una famiglia manca, nella maggioranza, la volontà di realizzarsi a tutti i costi nel mondo del lavoro. Il 50 per cento di donne al secondo figlio passa al part-time, o addirittura rinuncia al lavoro. Ma lì il rapporto affettivo comincia ad andare in crisi: il marito o il compagno sono al lavoro e la donna è sola a casa, con tutto il carico dei figli sulle spalle”.
Invece la crisi nelle coppie over 40 come nasce?
“Lì è l’infedeltà coniugale che porta alla separazione: il 90 per cento maschile, mentre l’infedeltà delle mogli ha numeri molto più bassi”.
I social hanno contribuito alla scoperta dell’infedeltà?
“Per noi avvocati i social sono diventati oro, perché sono una miniera di informazioni. Oggi si posta di tutto, a tutte le ore. Non c’è più privacy. E quando arriva la crisi e c’è la necessità di andare a provare alcune situazioni, i social diventano utilissimi, perché aiutano a ricostruire la vita delle persone. Oggi i giudici accettano tutto: video, messaggi, whatsapp”.
Quanti sono i coniugi che si lasciano in buon accordo?
“Tanti. Su dieci casi, più della metà si concludono con accordi. La possibilità di trovare un accordo dipende molto da come si pongono le parti: se in entrambi c’è la lealtà di riconoscere quello che è stato, ci si lascia in buona armonia”.
E dal punto di vista economico?
“É fondamentale riconoscere che se una delle due persone è economicamente più debole, non puoi “scartarla” con quattro soldi. Se c’è una posizione di potere, gli accordi non si trovano e si deve andare dal giudice. Separarsi è un diritto delle persone. Ma per farlo in armonia, non si deve schiacciare l’altro. Questo vale per entrambe le parti, sia per quella più forte che per quella economicamente più debole”.
Abbiamo parlato dei casi più semplici, ma quando in famiglia c’è la violenza?
“A differenza del passato, oggi la violenza in famiglia non si può più tenere nascosta. Le donne morivano anche vent’anni fa, ma non si riconosceva il fenomeno. La situazione della donna in famiglia è ancora molto difficile, indipendentemente dall’aspetto culturale. Ci sono ancora molti uomini che non hanno imparato a rapportarsi con una donna in maniera paritaria”.
Nei suoi 36 anni di attività, quanti casi di violenza ha seguito?
“Su dieci casi, almeno due o tre sono separazioni da compagni o mariti violenti. E non parlo solo di violenza fisica, che è quella che si vede. C’è anche la violenza psicologica, subdola, fatta di ricatti sottili. C’è quella economica. Per un avvocato, il problema della violenza in famiglia è che è molto difficile portare la prova al giudice”.
La riforma Cartabia aiuta?
“Si. Finalmente con la riforma Cartabia il giudizio che contiene elementi di violenza viene derubricato subito in maniera diversa e prende fin dall’inizio la sua strada”.
L’iniziativa di separarsi la prendono più le donne o gli uomini?
“Nell’80-90 per cento dei casi le donne. Gli uomini non prendono l’iniziativa, anche se sono la causa della separazione. Anche se hanno un’altra relazione parallela. Anche se esercitano violenza in famiglia. Gli uomini non staccano, sono in grado di mantenere in piedi situazioni plurime”.
Come si fa a tutelare i figli minori?
“Bisogna essere persone intelligenti! É evidente che in una separazione bisogna trovare dei compromessi, sia per quanto riguarda l’affidamento, che per quanto riguarda il diritto dei minori di frequentare entrambi i genitori. La legge è molto chiara e nel 90 per cento dei casi i figli vengono affidati in maniera condivisa. Anche se, alla fine, sono collocati prevalentemente dalle madri, che quindi hanno la maggiore responsabilità”.
Le è capitato di commuoversi per qualche vicenda familiare?
“Si certo, molto di più nel passato. Oggi no, perché è un errore professionale. Pur difendendo gli interessi della persona, pur partecipando al dolore, bisogna imparare a mantenere una grande lucidità nelle scelte. In questa materia, le scelte emotive sono sempre le più sbagliate”.
La separazione più brutta che ha dovuto seguire?
“Per me sono devastanti quelle in cui i minori vengono ingiustamente allontanati dalla madre. Ne ho avute un paio e ho sofferto moltissimo”.
L’assegno più alto ottenuto?
“Dai 15 ai 20 mila euro al mese, davanti al giudice. Consensualmente ne ho fatti diversi dai 10 ai 15 mila. Però se ne vedono sempre meno”.

Rossella Lazzarini