Una vita spericolata, è la vita di Best Sono passati 15 anni dal giorno in cui il "quinto Beatles" moriva distrutto dall'alcol

“Going on up to the spirit in the sky / It’s where I’m gonna go when I die / When I die and they lay me to rest / I’m gonna go on the piss with Georgie Best”.
Intonano ancora oggi tra fiumi di birra i tifosi del Manchester United sulle note di “Spirit in The Sky”, augurandosi goliardicamente di incontrare l’idolo di una generazione nell’aldilà, una volta che le loro anime lasceranno la terra. E a George Best sicuramente farebbe piacere.
Sono già passati 15 anni da quando il quinto Beatle, come erano soliti soprannominarlo per il suo stile, si fece immortalare straziato in volto per l’ultima volta sulle pagine del tabloid inglese News of the World,
pochi giorni prima di morire nel letto del Cromwell Hospital a Londra. Il titolo era eloquente: “Don’t die like me” («Non morite come me»). Uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi nacque il 22 maggio del ’46 nei quartieri popolari di Belfast; intelligente ed eccentrico, un eroe dannato immerso in un mix di calcio, donne, soldi e alcool. Una vita spericolata, passata sempre al massimo, incurante delle regole e del buon senso, come alcune sue frasi celebri: “Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i 20 minuti peggiori della mia vita”. Il primo ad accorgersi di lui quando aveva solo 15 anni fu Bob Bishop, che spedì un telegramma al padre padrone dello United, Matt Busby: “Credo di aver trovato un genio”. E leggenda vuole che fu lo stesso Busby ad andare a riprenderselo a Belfast, dopo un solo giorno a Manchester, perchè sentiva nostalgia di casa. George
debutta nel campionato inglese all’età di diciassette anni contro il West Bromwich e in pochissimo tempo diventa il simbolo dell’anticonformismo, capelli lunghi e sguardo fiero.
Best in campo mette il cuore; non solo dribbling ubriacanti e gol sopraffini, ma anche tanto sacrificio, corsa e il piede sempre presente nei tackle duri. E’ al tempo stesso campione e gregario, due giocatori in uno.
La perfezione per un ragazzo gracile, alto 1,72 m, e forse proprio per questo imprendibile nei suoi naturali spostamenti. A 19 anni vince il campionato inglese, a 22 la Coppa dei Campioni contro il Benfica segnando una rete decisiva nei supplementari (la prima per una squadra d’oltremanica), e a fine stagione anche il Pallone D’oro. Un uomo con un cognome da predestinato, che diventa eroe di un’epoca in cui tutto sembrava possibile, in un Regno Unito che sul finire degli anni ’60 è fucina di nuove tendenze nella moda, nella musica e anche nel calcio. La folla lo osanna a idolo assoluto, è il primo calciatore che si trasforma in un’icona pop soprattutto fuori dal terreno di gioco, fidanzandosi
con le donne più belle del mondo e sperperando con gioia “nella bella vita“ i suoi
guadagni.

“Qualche anno fa dissi che se mi avessero dato la possibilità di scegliere tra segnare un gol al Liverpool da ventisette metri, dopo aver saltato quattro uomini, e andare a letto con Miss Mondo, sarebbe stata una scelta difficile. Per fortuna, ho avuto entrambe le cose e soprattutto, una di queste cose l’ho ottenuta davanti a cinquantamila persone.”
Best in quegli anni aveva già raggiunto l’apice della carriera e, per sua stessa ammissione, da lì ebbe inizio il suo lento declino: “Avevo 22 anni quando nel 1968 vinsi la Coppa dei Campioni con il Manchester United e fui nominato Calciatore Europeo dell’anno. Avrebbe dovuto essere il fischio di inizio di una sfolgorante carriera, e invece fu solo l’inizio della fine.”
George Best butta via, letteralmente, il suo immenso talento. Disputa ancora qualche campionato ad alto livello, ma i vizi prendono il sopravvento sulla realtà e dopo 13 stagioni di permanenza nel club e una vita di eccessi, con allenamenti saltati e risse nei pub, a 28 anni si ritrova senza squadra. Lascia il
Manchester United per girovagare nei campionati in Sudafrica, Stati Uniti, Scozia e Hong Kong dove gioca senza entusiasmo, dedicandosi alle sue “altre” passioni. “Quando andai a giocare negli Stati Uniti comprai una casa vicino al mare. Per andare in spiaggia dovevo passare davanti a un bar.
Non ho mai visto il mare.”. Mette all’asta il suo Pallone D’oro per pagarsi debiti e bottiglie, nel 2002 subisce un primo trapianto di fegato (a causa dell’alcol le funzioni del suo organo si erano ridotte al 20%) e il 25 novembre 2005, a soli 58 anni, ci lascia definitivamente.
I funerali furono un vero e proprio bagno di folla, con 500.000 persone presenti e milioni di tifosi a piangere la sua morte. Non tanto perchè Best fosse un esempio da seguire, ma semplicemente
perchè aveva portato fantasia e divertimento a chi come lui amava il calcio, a chi si era immedesimato in lui nei suoi giorni di gloria e soprattutto nei suoi momenti bui. Perche “Maradona good, Pele better, George Best”.

Fabio Ridolfi