Vico, un pensatore poco…pensato Il filosofo napoletano è oggi meno studiato di quanto meriterebbe il suo percorso

Il filosofo napoletano Giambattista Vico è considerato uno dei grandi pensatori italiani. Nato nella seconda metà del Seicento, morto nel 1744, egli non rappresenta solo un intellettuale influenzato dal movimento illuministico, ma si pone come ricettore di istanze precedenti, di sapore umanistico, e la sua influenza è notevole sino al Novecento inoltrato.
La sua produzione, che abbraccia tematiche giuridiche, coinvolge orazioni d’occasione non prive di valore filosofico, indaga la sapienza italica da un punto di vista fisico – recependo anche tematiche avanzate da Cartesio – e indaga la funzione della retorica in rapporto alla filosofia, trova però il suo frutto più importante nella Scienza nuova.
In quest’opera, edita in tre versioni, si propone uno scopo assai importante: un tentativo di fondazione scientifica della storia, che dà adito, secondo alcuni, a una vera e propria filosofia della storia.
La prospettiva vichiana risente di un’impostazione che ricerca l’origine del procedere storico in un momento pre-storico e pre-sociale, com’è il caso, pur nelle differenze, di Locke e di Hobbes. Nel caso di Vico, questo stato brutale sarebbe dominato
dai cosiddetti bestioni, individui ignari della legge, non in grado di unirsi in società che, a causa di un evento descritto simbolicamente come l’erompere del fulmine di Giove, presi dal timore divino, trasfondono in una condizione sociale, soggetta anch’essa a evoluzione.
La storia vichiana è dominata dalla Provvidenza, la cui natura è particolarmente difficile da definire: essa non sembra essere un principio trascendente, e tuttavia Vico non definisce in che modo essa opera propriamente nella storia. Tutto ciò, sebbene un concetto meriti di essere sottolineato: il concetto di senso comune, come voce interiore che rappresenta, a conti fatti, la presenza della ragione e della Provvidenza stessa all’interno dell’uomo.
Questa ricostruzione storica si basa su alcune intuizioni filosoficamente rilevanti, e su alcuni strumenti ermeneutici particolarmente originali per l’epoca: il primo caso è
rappresentato dall’idea vichiana di universale fantastico, un patrimonio di immagini che costituiscono un momento essenziale nello sviluppo del linguaggio comune e che sublimano istanze umane (è il caso degli dei e degli eroi, i quali altro non sono se non proiezioni dei caratteri umani); il secondo caso, oltre che dall’importanza dello studio archeologico, della numismatica e delle medaglie, è rappresentato da un’indagine che si avvicina alla moderna filologia, e che porta Vico alla celebre discoverta del vero Omero, per la quale Vico ipotizza che Omero non sia mai esistito, ma che sotto quel nome si celino personalità diverse rese, anch’esse, un unico carattere.
La filosofia vichiana per cui l’uomo conosce la storia perché la fa, la famosa convergenza del verum e del factum, influenzo grandi filosofi italiani, come Gentile e Croce, che a Vico dedicarono vari studi: un pensatore importante, dunque, e oggi forse meno studiato di quanto sarebbe dovuto.
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