Vitamina D anti-Covid. Lo studio dell’Università di Padova e di Verona La ricerca, condotta dall’ateneo patavino in collaborazione con quello scaligero su pazienti di età media di 74 anni con comorbidità, dimostra gli effetti benefici. La principale fonte per l’organismo umano è l’esposizione al sole. Negli alimenti si trova soprattutto nel salmone, nell’aringa, nelle uova, nelle carni rosse e nella verdura verde

La scienza e la ricerca non si fermano. Anzi. Gli studi sul Co­­vid procedono a marce forzate. Questa l’ultima scoperta: il trattamento con la vitamina D diminuisce decessi e trasferimenti in terapia intensiva. E’ il risultato del primo studio italiano sugli ef­fetti della vitamina D, pubblicato sulla rivista scientifica “Nutrients” e coordinato dall’Università di Padova, guidato dal professor Sandro Gian­nini, con la collaborazione delle Università di Verona e Parma e gli istituti di ricerca Cnr di Reggio Calabria e Pisa. “La nostra è stata una ricerca retrospettiva condotta su 91 pazienti affetti dal virus, os­pedalizzati durante la prima ondata pandemica nella area Area Covid della Clinica me­dica 3 dell’Azienda ospedale-Università di Padova – spiega Giannini, primo firmatario dello studio. “I pazienti inclusi nel­­la nostra indagine, di età media 74 anni, erano stati trat­tati con le associazioni te­ra­peu­tiche allora adoperate in questo contesto e, in 36 soggetti su 91 (39.6%), con una dose elevata di vitamina D per 2 giorni consecutivi. I rimanenti 55 soggetti (60.4%) non erano stati trattati con vitamina D. La scelta del medico di trattare i pazienti”, evidenzia il professore, “e­ra stata es­senzial­men­te ba­sata su alcune caratteristiche cliniche e di laboratorio: avere bassi livelli nel san­gue di vitamina D al mo­mento del ricovero; essere fu­matori attivi; dimostrare elevati livelli di D-Dimero ematico (indicatore di maggiore ag­gres­sività della malattia); presentare un grado di comorbidità”. Lo studio aveva l’obiettivo di valutare se la proporzione di pazienti che andavano in­contro al trasferimento in u­nità di terapia intensiva e/o al decesso potesse essere condizionata dall’assunzione di vi­tamina D. “Du­rante un periodo di follow-up di 14 giorni circa – prosegue Gian­nini – 27 (29.7%) pa­zienti sono stati trasferiti in te­rapia intensiva e 22 (24.2%) sono de­ceduti. L’analisi statistica”, è andato avanti Giannini, “ha ri­velato che il peso delle comorbidità (rappresentate dalla storia di malattie cardiovascolari, bron­­copneumo­pa­tia cronica ostruttiva, insufficienza renale cronica, malattia neoplastica non in re­missione, diabete mel­lito, ma­lattie ematologiche e malattie endocrine) ha modificato in modo ampiamente si­gnificativo l’effetto protettivo della vitamina D sull’obiettivo dello studio, in modo tale che maggiore era il numero delle comorbidità presenti, più evidente era il beneficio indotto dalla vita­mina D”.