Zaganelli, il compositore di Ermitage. L’intervista a Maximilien – a cura di Fabio Ridolfi Il successo del veronese d’adozione. “Sento come una luce che mi guida dall’alto”

Da Parigi a Verona. Passando per San Severino Marche e Milano. E’ questa la “giusta strada” che ha portato Maximilien Zaganelli a comporre (assieme all’artista russo Dmitry Myachin) la colonna sonora del “Miglior Documentario D’Arte” ai recenti “Nastri d’argento 2020”. “Ermitage – Il potere dell’arte” del regista Michele Mally, con la partecipazione straordinaria di Toni Servillo, è un docufilm dedicato al museo russo che ospita una delle più importanti collezioni d’arte al mondo: “Ero davvero sorpreso, non ci credevo. Il film era stato selezionato tra oltre 50 candidati, era anche trapelata la notizia che Servillo avesse vinto il premio alla carriera e pensavo non potesse essere nuovamente premiato. Invece è andata bene, un’esperienza da sogno: conoscevo già precedentemente il regista, gli avevo mandato delle mie composizioni, e lui al momento giusto si è fatto sentire. Tanti anni di desideri accumulati e finalmente esauditi”. Ci confessa il compositore italiano al 100% (come ci tiene a precisare), e veronese d’adozione, che ha avuto il coraggio di lasciare un lavoro sicuro per seguire la sua passione. “Lavoravo per un’azienda a stretto contatto col mondo del cinema, ero responsabile tecnico della post produzione a tempo indeterminato.
Il mio desiderio di fare musica era troppo importante: il bello della musica è che puoi spaziare all’infinito e se ti annoi è solo un problema tuo. Ho iniziato col pianoforte da piccolissimo, ma non sono un virtuoso, me la cavo anche con basso e chitarra, e mi piace fondere a tutto ciò sonorità elettroniche e “scure”. A breve poi dovrebbero uscire altri miei lavori, le colonne sonore di un paio di documentari su A. Modigliani e E. Munch”. Nato 43 fa anni sulle “sponde” della Senna e trasferitosi di recente nelle vicinanze di quelle dell’Adige, per seguire la sua compagna, in questi giorni si è lasciato andare con un lungo commovente post sul suo profilo Facebook: “Non avevo mai parlato pubblicamente di me agli altri, essendo sempre stato un tipo introverso. Dopo la scomparsa di mio padre quando ero ancora minorenne, vivevo non accettandola, e ora tutto quello che mi è successo mi permette di riconciliarmi con il passato. Fare il musicista di lavoro non è semplice, e rimettersi in gioco alla mia età è stata una scommessa, forse la migliore che potevo fare. Sento come una luce che mi guida dall’alto”.

Fabio Ridolfi