“Papà, ti tengo custodito nel mio cuore” “Dottoressa, lei non può capire, bisogna passare attraverso quel dolore. Ora l’ho fatto”

Ho amato scribacchiare fin da piccola, una passione che ho coltivato e
tramutato in parte nella mia professione. Questo è “il pezzo” più importante e difficile che abbia mai sentito di voler scrivere. Vuole essere un ringraziamento al mio papà, per tutto quello che ha fatto per me, per tentare di compensare le poche, pochissime, volte che sono stata capace di dirglielo e per cercare una possibile ricostruzione dalla sofferenza.
Papà, ti ho vissuto per 42 anni e sei stato il genitore migliore che potessi avere. So di essere stata molto fortunata. Il tuo esempio papà, mai raccontato
e sempre agito, mi ha fatto comprendere il tuo profondo valore umano e mi ha reso sempre fiera e orgogliosa di te. Sei stato autore di grandi gesti, perché sei stato un grande uomo, una persona “per bene” dal cuore immenso. Ho visto con i miei occhi, gran parte della tua vita e non scorderò mai come l’hai vissuta. Sei stato un uomo buono, gentile, onesto, generoso, altruista e di una sensibilità rara. Ti ho visto mettere da parte il tuo dolore, per sollevare dal suo qualcun altro. Ti ho visto accudire con dedizione, chi ti era vicino. Ti ho visto aiutare il prossimo, silenziosamente. Ti ho visto rispettare, tutti. Ti ho visto curare mille animaletti. Ti ho visto lottare contro le avversità della vita, come un leone, senza cedere mai di un passo. Ti ho visto proteggere e amare la tua famiglia, sempre. Mi hai commossa tante volte.
Finché scrivo di te, e di noi, mi risuonano in mente le parole di un paziente “dottoressa non può capire se non c’è passata…” e la mia risposta, forgiata
da 17 anni come psicologa nell’area delle dipendenze, che prova a essere di conforto, spiegando che non tutto può essere sperimentato in prima persona, ma non per questo non si può cercare di comprendere. Solo ora riesco a capire realmente cosa intendeva quell’uomo, adesso che ho dovuto salutarti. La paura, lo smarrimento, il dolore mentale che diventa fisico e quel senso di vuoto, che non riesci a riempire con nulla, non sono emozioni immaginabili finché non le vivi. Ci si sente rotti e, per quanto ci si provi, i cocci sembrano non coincidere più. Si cerca di riunirli, ma la sensazione di completezza e integrità, che c’è sempre stata nel nostro tempo assieme, è persa. Ho scoperto che nella cultura giapponese esiste una forma d’arte il kintsugi, sirealizza riparando oggetti con l’oro, dando rilevanza quindi alle cicatrici, che divengono l’aspetto più prezioso dell’insieme e rendendo la fragilità un punto di forza. Una metafora a cui aggrapparsi nel dolore, perchè la nostra frattura interiore, acquisti forza e ci renda più solidi. Papà, cercherò di rimettere assieme i pezzi, dando loro miglior forma e valore. Ti tengo custodito nel mio cuore, certa che da li non ti porterà via niente e nessuno. Sai… Ti trovo già in ogni cosa bella che mi circonda, nei cieli dipinti che amavi fotografare, nei brani di Cat Stevens, nei disegni di Sofia Vittoria, nei fiori più profumati, nei piatti che cucinavi, nei piccoli gesti che mi scopro a volte fare proprio come avresti fatto tu… Riposa adesso papà, starò bene, staremo bene e un giorno ci riabbracceremo e sarà per sempre.
Ti voglio bene, Sara.