Addio a Philippe Daverio. Un amico di Verona Lo storico dell’arte, legatissimo alla nostra città, è morto nella notte all’Istituto dei Tumori di Milano. Aveva 70 anni. Il 14 settembre sarebbe stato protagonista del Festival della Bellezza. “Veronesi: guardate le sculture e i bassorilievi negli angoli e nei vicoli”

Tra pochi giorni, il 14, sa­rebbe tornato a Verona, ospite illustre del Festival della Bellezza, rassegna che per lui ormai era di­ven­tata di casa. Avrebbe dovu­to parlare di Klimt, Schiele e Schoenberg. Philippe Da­ve­­rio amava Verona. La spiegava, l’analizzava, la cantava. Non solo il centro, anche la Valpolicella, la Bas­sa, Legnago, il Salieri, dove l’anno scorso, a fe­bbraio, aveva lasciato il pubblico a bocca aperta. “I veronesi”, aveva detto in una delle sue ultime in­terviste rilasciate in città, “dovrebbero guardare di più le sculture che non costano niente, quelle che non sono custodite nei musei: quelle in cima alle case, i pezzi di Roma antica a volta in­ca­stonati in un edificio che fa da angolo, i piccoli basso­rilievi della cristianità, c’è un Padre Eterno molto bello nella strada che da Porta Borsari va al centro, sulla si­nistra, un’iconografia ger­ma­­nica che non si trova più nel resto d’Italia”. Daverio, straordinario storico dell’ar­te, è morto la scorsa notte nella sua stanza all’Istituto dei Tumori di Milano. Do­cente e saggista, a Milano era stato assessore alla Cultura. Aveva 70 anni. Con lui è scomparso l’ultimo di­vulgatore dell’arte in tivù. La sua morte è stata da An­dree Ruth Sammah, regi­sta e direttrice del “Franco Parenti”. Nato nella città francese di Mulhouse il 17 ottobre 1949, Daverio era il quarto di sei figli. Ha ri­cevuto un’educazione otto­cen­tesca in collegio. Ha frequentato la Scuola Euro­pea di Varese per poi i­scri­versi a Economia e Com­mer­cio alla Bocconi di Mi­lano. Diede tutti gli esami ma non scrisse mai la tesi fi­nale. Lo stesso Daverio disse: “Io non sono dottore perché non mi sono lau­reato, ero iscritto alla Boc­coni nel 1968-1969, in quegli anni si andava all’uni­versità per studiare e non per laurearsi”. Alla carriera da gallerista e saggista ha affiancato quella televisiva partecipando a numerosi pro­grammi dedicati alla cul­tura, come Art’é, nel 1999 su Rai 3, e Pas­separtout dal 2001 al 2011 sempre su Rai 3. Ha inoltre collaborato con numerose testate giornali­stiche come Panorama, Vo­gue, l’Avve­nire e Il Sole 24 ore. Ha fondato il movimen­to d’opi­nio­ne “Save Italy” con l’o­biettivo di sensibi­liz­zare la popolazione mon­dia­le alla salvaguardia del patrimonio culturale dell’Ita­lia. “Era un gigante della cultura che si esprimeva al­la portata di tutti, l’esatto contrario di alcuni soloni che amano restare chiusi in un mondo elitario”, ha di­chia­rato il governatore del Vene­to Luca Zaia. “A sent­irlo par­lare” ha aggiunto Za­ia “sem­­brava quasi che ren­desse banale ogni spie­g­­a­zione in qualsiasi ambito ar­tistico o culturale; eppure lo faceva senza venir mai me­no al rigore di studioso. Pen­so che la sua pre­pa­ra­zione e il suo stile fossero quelli più congeniali per spie­gare la nostra terra do­ve una bel­lezza così dif­fusa rischia di passare per bana­lità e deve essere ap­pro­fondita con concetti im­me­diati per tutti”. Se n’è an­dato un grande. Ci ha lasciato un amico.