Addio a Zavoli, l’uomo del Processo Inventò il Processo alla Tappa, la trasmissione che cambiò il mondo del ciclismo

Durante, Battistini, Lievore, Minieri, Negri, Assirelli. Alzi la mano chi li ricorda, chi ricorda qualcosa su questi protaginisti di tappa del Giro d’Italia anni ’60? Ma anche sul ben più noto Franco Balmamion che conquistò addirittura due edizioni tra le meno memorabili della corsa rosa moderna. Eppure quei Giri appassionarono tantissimo gli spettatori e il merito — più che dei corridori, che pure fecero il loro dovere — fu del Processo alla Tappa, il «salottino» che andava in onda subito dopo l’arrivo e che Sergio Zavoli riuscì per la prima volta a trasportare in video (era il 20 maggio) dalla radio dove l’aveva fatto debuttare nel 1958.
Il segreto? Il passaggio dei corridori da ruolo di semplici pedalatori a quello di protagonisti sul teleschermo.
Per spiegare, raccontare, attaccare chi li attaccava e giustificare le loro crisi o mosse sbagliate, incalzati da Zavoli e da un gruppo di giornalisti che includeva le migliori firme della carta stampata. Zavoli stesso, prima della diretta, seguiva il gruppo su una macchina scoperta e realizzava brevi e totalmente inedite interviste con i corridori (cui dava rigorosamente del lei) in fuga o irrimediabilmente staccati. Di atleti di cui leggevano solo nei quotidiani o ascoltavano brevi dichiarazioni nei cinegiornali, gli italiani impararono a conoscere le voci, i dialetti e l’umanità. Nella puntata più celebre delle otto edizioni zavoliane, quella in cui il cronista riminese raccolse il pianto di Eddy Merckx per la sua positività dopo la Parma-Savona del Giro 1969 (era l’ultima serie curata da Zavoli) in studio a commentare la vicenda c’erano Gianni Brera, Enzo Biagi e Indro Montanelli. Al Processo non mancavano le contaminazioni, con intellettuali come Pierpaolo Pasolini che non disdegnavano regolari incursioni. Il Processo portò al Giro e allo sport innovazioni tecnologiche fondamentali per arricchire il racconto come collegamenti radio-telefonici, telecamere mobili, una sorta di moviola e banchi di montaggio in grado di realizzare in pochi minuti dei mini reportage sui fatti di corsa. Il Processo ebbe i suoi eroi, dall’elegante Vittorio Adorni — forse il primo a conquistarsi il ruolo di ambasciatore dello sport sul piccolo schermo — al timido Felice Gimondi, al ruspante Vito Taccone, l’abruzzese che con la sua parlantina moltiplicò la sua fama di buon corridore e fece sorridere milioni di spettator.